(Sanniopress) – A proposito dell’ipotesi della presenza di rifiuti tossici nel suolo sottostante l’impianto Cdr di Casalduni, di cui mi sono occupato in un precedente articolo, va segnalato un ulteriore ed inquietante elemento contenuto sempre nell’informativa inviata nel 2002 dai Carabinieri alla Direzione Distrettuale Antimafia.
Come si ricorderà, tra gli episodi di cronaca che, secondo i Carabinieri, in qualche modo potevano essere ricondotti all’ipotesi di interramento di rifiuti tossici in contrada S. Fortunato, si citava anche il ferimento di un imprenditore di Torrecuso impegnato nei lavori di costruzione dell’impianto di CDR, avvenuto il 22 ottobre 2001 alle ore 00.15. L’imprenditore fu raggiunto da alcuni colpi di pistola mentre si apprestava ad uscire dall’autovettura davanti alla sua propria abitazione.
Ai Carabinieri, infatti, era giunta una segnalazione anonima che riferiva che “erano in corso tentativi estorsivi a carico delle ditte incaricate della costruzione del Cdr”. La Fisia Italimpianti, appaltatrice dei lavori, aveva infatti concesso in sub appalto i lavori di movimento terra e opere in cemento armato (per un importo di 2.582.284, 50 euro pari a cinque miliardi di lire) ad un impresa che, secondo gli inquirenti, era riconducibile proprio alla vittima dell’agguato, e cioè all’imprenditore di Torrecuso.
A tal proposito i Carabinieri formularono un possibile collegamento e scrissero: “Non è da sottovalutare il fatto che nel vicino comune di Morcone, nell’anno 1996 e precisamente in data 27 gennaio, personale della competente Stazione dei Carabinieri procedeva al sequestro di cinque autocarri sorpresi a scaricare materiale (proveniente da un’azienda emiliana – n.d.r.) in dei terreni siti in quella località Sferracavallo, di proprietà di Ciro Piccirillo nato a Napoli il 28.04.1946. Dai primi accertamenti svolti dall’Asl di Benevento, emerse che trattavasi di polveri di alluminio da macinazione schiumature derivanti da scorie di fusione provenienti da fusioni di alluminio in blocchetti e, pertanto, classificabili in rifiuti speciali, tossici e nocivi, il cui smaltimento non può che avvenire in discariche appositamente autorizzate. Nel corso degli accertamenti è emerso un dato eclatante: in Napoli, il giorno 20 marzo 1997, veniva assassinato Ciro Piccirillo, proprietario del terreno ove erano stati rinvenuti i rifiuti sopra decritti. Questo elemento, faceva ritenere che detto fatto delittuoso poteva essere messo in correlazione con il ritrovamento dei rifiuti, considerato i notevoli interessi economici gravitanti intorno alla realizzazione di discariche abusive di rifiuti tossici. Attività, queste, notoriamente allettanti per la criminalità organizzata perchè fonti di elevati e facili guadagni. Comunque, le successive indagini, permisero di stabilire che il movente e l’autore dell’omicidio stesso, erano da ricercare in altri ambienti”.
Per meglio illustrare i motivi della possibile correlazione, i Carabinieri citarono anche un passo del verbale di sommarie informazioni rese dalla convivente del Piccirllo, Filomena Tanzi, che disse: “In relazione alla discarica non so dirvi la denominazione della ditta che doveva crearla e gestirla, ma posso solo dire che i terreni erano del Piccirillo e che lo stesso li avrebbe ceduti ad una ditta o società di cui non sono in grado di indicare la denominazione. In merito però posso dire che tale ditta faceva capo a tale Toni Gattola che conosco essere della zone di Grazzanise e del casertano”.
Di Ciro Piccirllo, come si ricorderà, ho già scritto in un precedente articolo, riportando un brano del libro scritto sotto forma di romanzo da Pierluigi Vergineo “La Malasorte, Storie dal carcere”, edito da L’Altra Voce nel febbraio 2011: “Maurizio è il fratello di un maresciallo dei Carabinieri del casertano. E’ un uomo minuto con i baffetti ed è coinvolto, assieme al fratello, in un traffico di rifiuti tossici e radioattivi. E’ detenuto nel carcere di Capodimonte e al compagno di cella racconta: “Nei primi anni Ottanta a Gricignano d’Aversa ho creato un’impresa per il trattamento dei liquami, pozzi neri, fanghi tossici. Dovevo bonificare questi rifiuti, renderli inerti o trasformarli in concime. In realtà abbiamo semplicemente sversato per anni i liquami nelle campagne del casertano. Quando poi l’impresa è cresciuta, abbiamo deciso di trattare anche le scorie radioattive ed i rifiuti tossici, quelli molto pericolosi delle industrie che lavorano metalli pesanti. Abbiamo scaricato centinaia di camion anche qui a Benevento, nel comune di Ceppaloni e di Morcone. In alcuni casi abbiamo seppellito fusti sigillati. Con la pala meccanica scavavamo enormi buche tanto da accogliere all’interno diversi camion, che sganciavano sul fondo il cassone. Poi, dopo essere risaliti in superficie, immediatamente l’escavatore ricopriva tutto con la terra. Addirittura in un caso abbiamo comprato un tappeto erboso ed in un altro sito è stato costruito un allevamento di cinghiali. Tutto andava per il meglio quando improvvisamente uno dei soci della ditta incaricato di acquistare i terreni, un certo Piccirillo, fu ucciso nel 1997”.
L’imprenditore Ciro Piccirillo negli anni Novanta a Morcone acquistò una villa (frequentata, si diceva, persino, da ballerine e da qualche personaggio influente che, ben volentieri, accettava l’invito a partecipare ai non rari festini che vi si svolgevano…) e numerosi terreni agricoli a prezzi ampiamente superiori a quelli di mercato. Il suo principale collaboratore in zona morì misteriosamente precipitando in un burrone con il proprio trattore. Piccirillo venne ucciso a pistolettate il 20 marzo del 1997 mentre prendeva un caffè in un bar di via Astroni, dalle parti dell’ippodromo di Agnano. Un solo killer fece irruzione nel locale – un altro aspettò in strada – e scaricò contro l’imprenditore l’intero caricatore della pistola. Piccirillo morì all’istante. Le indagini compiute nell’immediatezza del delitto per identificare l’autore dell’omicidio non avevano avuto alcun esito, tanto che il relativo procedimento era stato archiviato.
Fino a quando due affiliati del clan camorristico di Domenico D’Ausilio, Massimo Esposito e Aniello Montuori, non decisero di collaborare con la giustizia. I due camorristi pentiti raccontarono ogni dettaglio dell’omicidio di Piccirillo sostenendo, addirittura, di essere stati gli esecutori materiali e che il mandante era stato proprio Mimì ‘o sfregiato. L’eliminazione dell’imprenditore fu decretata perché il boss temeva che Piccirillo, assegnatario di contratti di appalto per i lavori di smantellamento dell’Italsider di Bagnoli, potesse denunciare all’autorità giudiziaria che ditte controllate dalla camorra operavano in subappalto nella medesima area.
Alla base dell’omicidio, dunque, vi è ancora il business milionario dello smaltimento (illegale, probabilmente) dei rifiuti pericolosi e tossici dell’ex impianto siderurgico.