(Sanniopress) – Caro Nazzareno, lo spaesamento tuo è anche il mio. A volte vorrei dare un calcio a tutto e campare alla giornata godendomi il sole e la forza dei miei anni dando la buonanotte a tutto il resto. Ma sarebbe un tornaconto miope. Il posto più bello per ognuno di noi è il compito che ci siamo dati per migliorarci. Io non ci riesco, ma mi sforzo. Tu mi sfotti e fai bene perché bisogna sempre stare con i piedi per terra. Se mi dici che sono affetto da complesso di superiorità mi spavento perché significa che da qualche parte ho davvero sbagliato. Non voglio apparire né superiore né inferiore ma il giusto mezzo che è sempre la cosa più difficile. La mia fatica è la ricerca con ironia che non è, come si tende a volte a credere, una presa in giro o lo spirito di contraddizione ma serietà perché prima di conoscere i limiti degli altri conosce i propri. La critica che ho mosso a te e al vicesindaco Raffaele Del Vecchio è una critica che indirettamente muovo a me stesso attraverso le vostre due “maschere”. E’ come se dicessi: avete sbagliato qui e qui e qui e non avete fatto questo e questo e questo ma non ci illudiamo perché nel campo della cosiddetta cultura le cose serie si fanno ancor meno che altrove per decreto o disposizione di legge. Le intenzioni sono una cosa e le azioni altra. Gran parte del lavoro che si fa intorno a quella cosa strana che è l’assessorato alla cultura è costituito da intenzioni più che da azioni perché quando si passa dal dire al fare le cose mutano. Per tutti. Così i risultati tardano a venire o svaniscono subito. A meno che non ci si chiami Alfredo Zazo. Ma questa è un’altra storia.
Tirando le somme: non sarebbe male uscire dall’equivoco della politica dei grandi eventi. Un assessorato alla cultura – come qualunque altro assessorato – deve lavorare su cose fattibili, praticabili, concrete e le cose fattibili, praticabili, concrete sono piccole, quotidiane, a volte anche scoccianti. Non credo che se la chiesa di Santa Sofia fosse sempre aperta avremmo risolto chissà cosa, credo però che se ci sono dei turisti, studiosi, viaggiatori che possono visitare la chiesa alle 15 devono poterlo fare. E’ una piccola cosa, non una grande cosa ma senza le piccole cose che funzionano non si avrà un turismo culturale stabile e duraturo ma solo fuochi di paglia.
Non ho dimenticato il lavoro che hai svolto perché parte di quel lavoro, sia pure in posizione diversa, è anche mio. Lo rivendico con orgoglio, altroché. Ma, anche qui, non mi faccio illusioni perché Benevento è italiana e in Italia la memoria è corta. I frutti di oggi dipendono dalla semina di ieri e quanto le passate amministrazioni abbiano lavorato sui Longobardi lo sappiamo ma, ancora una volta, la mia critica ha voluto mettere in luce la storia beneventana prima che le cronache politiche. Faccio solo un esempio: qualcuno pensa che se Sandro D’Alessandro non avesse con pazienza e coraggio chiuso il Corso Garibaldi al traffico delle automobili e di ogni mezzo oggi l’Unesco avrebbe dato il suo riconoscimento? Eppure, non possiamo ogni volta stare a fare la cronistoria delle scelte amministrative che dovrebbero invece essere riassunte nel concetto di storia che racchiude un po’ tutto, meriti e demeriti, gioie e dolori e le due cose sono sempre così avvinte che non è dato separarle senza snaturarle. Allora, per piantarla qui che di là mi chiamano, lasciando Cecco e pigliando un poetucolo da strapazzo ti dico “i’ vorrei che tu e Raf ed io/ fossimo presi come per incantamento/ e così ragionar dell’amor per Benevento/ senza alcun tipo d’impedimento/ e, anzi, puntando sul ravvedimento/ far di modo che venga fuori il vostro malcelato talento/ che insieme con il mio picciol e sopravvalutato ingegno/ sembran chiusi in un vasel e nascosti in convento per l’invidia di Pepe e del suo falso portento”.
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