(Sanniopress) – Ma di chi è il merito del riconoscimento Unesco? Di Nazzareno Orlando, di Raffaele Del Vecchio o di Benevento? Così, a naso, senza saper né leggere né scrivere, sarei portato a rispondere “Benevento”. Però, non si sa mai. Sono consapevole della fallibilità umana e in particolare della mia e potrei sbagliare. Tuttavia, se c’è, il merito degli assessori poggia sulla storia longobarda di Benevento che è il solo requisito necessario per avere il riconoscimento dell’Unesco. Tutto il resto è secondario. Invece, in queste ore i due assessori alla Cultura si sono sfidati come due spadaccini sfigati su di chi sia il merito del riconoscimento. A dare il là alla singolar tenzone è stato Rito Martignetti che è colpevole di amare un po’ troppo la sua città e, forse – poi dirò – è anche colpevole di usare l’espressione “marketing territoriale” o culturale che è una cosa che non auguro al peggior nemico.
Se voi volete sapere come la penso io in merito – ognuno si fa del male come vuole – vi accontento subito: a me non mi frega un accidente di chi sia il merito del bollino blu dell’Unesco appiccicato sulla banana beneventana. Gli assessori si agitano e mostrano un orgoglio ingiustificato e smisurato dicendo “la banana è mia, la banana è mia” e non vi dico che cosa risponderei loro. A me che mi chiamo longobardianamente Desiderio questa cosa fa ridere. Il riconoscimento riguarda Cividale, Spoleto quindi Benevento. Come a dire: o tutti o nessuno. L’Unesco non ha valutato il particolare, ma l’universale, cioè la storia, e Benevento è parte di questa storia barbara, longobarda e italiana perché è Benevento e non perché Nazzareno Orlando e Raffaele Del Vecchio sono stati assessori alla Cultura. Le parole che mi piacerebbe sentire da loro e che finora non hanno detto sono proprio queste che spostano il nodo del contendere dai loro meriti alla storia di Benevento e dintorni che è l’unico fatto che qui conta realmente e veramente.
Andiamo un po’ oltre. Pasquale Viespoli ha detto: “Santa Sofia è all’altezza dell’Unesco, la città no”. C’è qualcosa di vero, ma anche molto di falso o di equivoco. Il motivo è semplice: Viespoli non è uno che passa di qui per caso ma il sindaco più importante di Benevento nella storia della cosiddetta Seconda repubblica e se dice che la città non è all’altezza dell’Unesco può darsi che abbia ragione ma in questa ragione – che vuole essere un torto – bisogna mettere anche i suoi anni da sindaco, oltre agli anni, tutt’altro che secondari, di Sandro D’Alessandro. Allora? Allora a volte è meglio provare a resistere alla tentazione delle battute argute e all’esigenza della sintesi a vantaggio della comunicazione per tentare di mettere al centro, ancora una volta, proprio Benevento e la sua storia, sia quella remota sia quella contemporanea. A me pare che le cose che ha detto Viespoli vadano capovolte. Non è vero che è Santa Sofia all’altezza dell’Unesco perché è vero che è l’Unesco all’altezza di Santa Sofia. E la città (intesa evidentemente come amministrazione della città)? Forse, non è all’altezza né di Santa Sofia né dell’Unesco.
Il “marketing territoriale” o culturale è, almeno per me che sono fatto un po’ così, un’istigazione al turpiloquio. Resisto. Ma se poi penso che l’espressione rientra nel vocabolario burocratico di El Kozhe, allora, mi chiedo “ma che cos’è?”. Il turismo e la cultura sono cose di cui chiunque si sente in diritto di parlare. E forse hanno ragione loro. Resta il fatto, però, che sia il turismo sia la cultura implicano lavoro, continuità, umiltà, studio e, perché no, anche un minimo di conoscenza delle cose umane che, a conti fatti, sono le cose più difficili da conoscere, non perché siano lontane ma proprio perché sono costantemente sotto il nostro naso. Oggi, proprio oggi, ho fatto un salto a Santa Sofia, ma siccome erano le 14,30 o giù di lì l’ho trovata chiusa. Fuori, davanti al portale, ho trovato un cartello, su un’asta un po’ barocca e pacchiana, che indicava gli orari che vanno – vado a memoria – dalle 8 alle 12 e dalle 16 alle 19. Nelle ore centrali della giornata la chiesa è chiusa. Unesco o non Unesco, è chiusa. Il “maketing territoriale” che dice in merito?
Se Santa Sofia fosse aperta cambierebbe qualcosa? No, credo di no. Però, provare non nuoce. Il turismo non è fatto da grandi cose ma da piccole cose che si evidenziano nella cura quotidiana. La curia arcivescovile – perché qui il problema è la curia arcivescovile – potrebbe anche fare un piccolo strappo alla regola e, con l’aiuto del Comune e del Museo del Sannio, tenere aperta la chiesa anche nelle ore in cui ora è chiusa e che non sono ore nelle quali si officia il culto. Se non ricordo male, quando era sindaco proprio Viespoli si stipulò tra comune e curia una sorta di concordato e, se ancora una volta non ricordo male, l’attuale sindaco Pepe ha partecipato insieme con altri assessori a degli incontri spirituali nella chiesa di San Bartolomeo: dunque, i rapporti tra curia e comune dovrebbero essere ottimi e non dovrebbe essere difficile trovare un’intesa decente per tenere aperta la chiesa di Santa Sofia. E’ una piccola cosa, ma il turismo e la cultura si fanno con piccole cose più che con il “marketing territoriale”. Se fossi Orlando direi a Del Vecchio “ti do una mano” e se fossi Del Vecchio direi a Orlando “dammi una mano” a iniziare proprio dall’apertura e chiusura di Santa Sofia. Ma siccome sono Cecco, “com’i sono e fui”, dico a entrambi andate… Vabbé, lasciamo stare.