(Sanniopress) – Caro Domenico, non ti conosco di persona, ma seguo con attenzione quanto scrivi. In relazione al tuo articolo Non violenza, la lezione della zanzarata antipellicce, sento di condividere tutta la parte relativa alla “zanzarata” e l’invito all’uso di strategie non violente. Non condivido, invece, per nulla l’ironia tanto sulla solidarietà al movimento valsusino quanto quella sulla decrescita. Cerco di spiegarti i motivi, come spesso mi capita facendo riferimento alla mia personale biografia. Io sono diventato vegetariano a diciassette anni. Porto avanti questa scelta, tra mille contraddizioni e compromessi, senza ripensamenti, in nome non solo del principio (che tu evochi a proposito degli animali da pelliccia) della capacità di sentire e soffrire degli animali ma anche della loro dignità, direi, “ontologica”. Tutto ciò presuppone una radicale revisione della cultura antropocentrica tuttora dominante nella cultura occidentale, e cioè una revisione “filosofica” o, ancor di più, spirituale, se è vero, come scrive Rifkin, che le capacità empatiche da parte dell’uomo nel corso dei millenni si sono ampliate, fino a comprendere non solo potenzialmente tutti gli uomini della terra ma anche animali e vegetali. A questo lavoro, per così dire, “teorico”, che fonde, per quanto mi riguarda filosofia, storia, economia, poesia e spiritualutà, ho dedicato gli ultimi dieci anni della mia vita. Ebbene, questa revisione della cultura occidentale non può non essere centrata sul ridimensionamento della sfera economica, come si è strutturata a partire dalla diffusione del sistema capitalistico (diciamo a partire dal XVI secolo), sfera divenuta dominante rispetto alle altre, fino a fagocitare ogni ambito della vita. La decrescita conviviale, teorizzata da Illich negli anni Sessanta/Settanta, divulgata da Latouche, è questo primo passo vero un mondo nuovamente umanizzato, in cui il profitto, la mercificazione (anche dell’immaginario), la distruzione sistematica delle risorse rendono la terra intera, i suoi frutti, le sue ricchezze, gli animali, infine l’uomo stesso, “giacimento” (Bestand lo chiama Martin Heidegger), delineando un’era post-umana, in cui il vero protagonista è la tecnica (come scritto da quell’Anders evocato pochi giorni orsono su queste pagine da Giancristiano Desiderio). Infine, la difesa del territorio, attraverso un’azione politica e civile diretta, senza mediazione, quale quella che stanno mettendo in atto i valsusini, si configura come la naturale scaturigine di un nuovo rapporto con l’ambiente, in cui l’economico viene subordinato ai bisogni reali, concreti degli uomini in carne ed ossa che vivono un “luogo” complesso e ne conoscono la storia. In Val di Susa si sta combattendo una battaglia molto concreta ma anche piena di riverberi simbolici, che configurano un altro futuro possibile. Dunque, mi pare doveroso che quanti credono in questa alternativa, manifestino per gli attivisti valsusini, anche a Benevento. Io l’altro ieri, all’interno della mia riflessione sulla permanenza del classico nel contemporaneo, ho parlato dei valsusini come incarnazione di una “politica” senza delega, come auspicata dalla Arendt in Vita activa.
Siamo di fronte ad un passaggio d’epoca dove bisogna integrare gli ambiti, mirando ad una visione complessa della realtà e dell’azione politica.
Ho già avuto modo di scrivere in diverse circostanze che le pratiche di resistenza non violenta sono le uniche all’altezza del nostro tempo, avendo il XX secolo dimostrato che i mezzi diventano automaticamente fini, e che la violenza non può che generare frutti violenti, e quindi, come già detto, condivido pienamente la chiusa della tua riflessione.