(Sanniopress) – In Europa non si discute più soltanto di crisi finanziaria e ritorna a far capolino l’argomento della crescita. Un tempo si diceva “sviluppo” mentre oggi si preferisce “crescita”. Ma non è una questione di parole – tutt’altro – e ci siamo intesi. Solo che, proprio quando si ritorna a parlare di crescita per poterla realizzare, dopo aver tanto penato per cercare di non colare a picco con la crisi finanziaria internazionale, ecco che in Italia si parla – e in verità si fa anche a botte intorno a questi temi – di “decrescita”. Il movimento No Tav pur opponendosi all’Alta velocità si mostra velocissimo ad occupare strade, autostrade, stazioni ferroviarie e, soprattutto, a far precipitare il Paese in un clima anni Settanta, non solo per gli scontri con la polizia e l’odio mostrato verso lo Stato e chi lo rappresenta ma anche per gli argomenti ideologici che si usano contro, appunto, la crescita, il mercato, la tecnologia che sono visti tutti come strumenti diabolici nelle mani di chi – chi? – ha in mano la volontà di sopraffazione del capitalismo. Insomma, per fare sintesi: da una parte c’è l’Europa e dall’altra lo spirito antimoderno dei No Tav.
Mario Monti che è tornato soddisfatto dal vertice europeo a Bruxelles, proprio perché è ritornato finalmente il tema della crescita e in qualche modo si è voltata pagina, dovrà tener conto inevitabilmente dell’antimodernità del “notavismo” che è un movimento anfibio e trasversale, che non ha origini solo a sinistra ma anche a destra, che pesca le sue “ragioni” non solo nello scasso e nelle rottamazioni dell’ideologia comunista sconfitta dalla Storia e un po’ da tutto ma anche nel tradizionalismo della destra e perfino nel leghismo. Che cos’è, infatti, quella retorica che si sviluppa intorno al “territorio” e alla sua “comunità” che è considerata la sola depositaria dei destini di una regione, di una valle, di una montagna, di una pianura? La maggioranza di un luogo avrebbe il diritto di fare o non fare, di acconsentire o di rifiutare e siccome ogni minoranza è una maggioranza in casa propria ne deriva che ogni discorso nazionale è bello e andato. Il “leghismo” coniugato con il “notavismo” segna la fine della politica nazionale e la fine della politica nazionale segna la fine dell’Europa che esiste solo se esistono le nazioni che la formano e compongono geograficamente, storicamente, economicamente. Questo “senso comune” o conformismo ideologico del movimento No Tav tocca il suo punto più alto proprio quando in Europa si firma il patto di bilancio e ci si avvia a passare dalla finanza all’economia. Se prima la crescita era una necessità, ora appare come una possibilità. Ma la ripresa dell’economia reale può avvenire solo con il vincolo del bilancio dell’Europa delle nazioni – chiamiamola così la Ue – visto che l’idea che ognuno faccia causa a sé, una volta che i destini e i bilanci e le monete sono state unificate, si è rivelata impraticabile e pericolosa. La novità consiste proprio in questo: nella corrispondenza che sempre più si deve cercare tra Europa e nazioni. Le due realtà non possono essere pensate divise e in contrasto: l’Europa non può esistere senza le nazioni e le nazioni non possono farcela senza l’Europa. La crisi finanziaria dalla quale stiamo uscendo forse da qui a un po’ ci apparirà come la crisi dell’Europa finanziaria e delle banche – della “finanzia creativa” – che dobbiamo imparare a superare nelle sue stesse istituzioni per ancorarla all’economia reale del “vecchio continente” e al suo spirito nazionale che nonostante tutto continua a esistere e ad avere un valore basilare.
Il “notavismo” rifiuta tanto la nazione quanto l’Unione europea. Ma non si ferma qui, perché dice no anche alla modernità, alla tecnica, alla crescita, al mercato e, poggiandosi sullo stesso benessere di cui tutti siamo figli, contempla un piccolo mondo antico o il mito di un’Arcadia in cui la natura non è una matrigna che distrugge i suoi stessi figli ma una tenera madre che dispensa latte e miele in abbondanza per i suoi “buoni selvaggi”. La civiltà, dicono questi ultimi nipotini di Rousseau, corrompe e distrugge quanto di bello c’è al mondo. La vera crescita per il l’uomo di No Tav è la decrescita e se tutta la storia dell’umanità si può vedere come lo sforzo e il tentativo, sempre ricorrente, di uscire dalla Caverna, l’uomo di No Tav pensa che sia giunto il momento di invertire la rotta e innestare la retromarcia per far ritorno nella Caverna o nella natura incontaminata senza le offese della tecnica. Anche la crisi finanziaria non è analizzata secondo i suoi principi e la sua storia ed è vista, invece, come una crisi del sistema che annuncia la sua fine o il suo “capovolgimento”. Sembra quasi di sentire Marx con la sua caduta tendenziale del saggio di profitto. Come se la storia non ci avesse insegnato, invece, che i problemi si ripresentano sempre nuovi e l’idea di dare un’interpretazione complessiva degli avvenimenti appartiene al campo delle teorie metafisiche e non certo ai buoni propositi che muovono le nostre azioni di ogni giorno e alla morale che è fatta di lotta, fatica e responsabilità singola e poi accada quel che accada visto che il Mondo – per una volta con la maiuscola – ne sa più di noi.
Con il popolo No Tav bisognerà discutere con parole di verità e a farlo dovrebbe essere la politica che, invece, posta dinanzi a problemi storici o di senso appare come disarmata e gaglioffa.
(tratto da Liberal)
Caro Direttore,
mi permetta di contestare l’illogicità del Suo ragionamento, che nasce da un presupposto riduttivo e sbagliato, quello, cioè, di considerare che il Movimento “NO TAV” “…pesca le sue ragioni (…) nello scasso e nelle rottamazioni dell’ideologia comunista sconfitta dalla Storia…”. Mi sembra di notare quel linguaggio qualunquista e misero cui eravamo abituati a sentire dal Berlusca quando affermava che tutto quel che di negativo succedeva in Italia era per colpa dei comunisti. Siamo seri! Uno studioso intelligente e preparato come Lei ( e non lo dico assolutamente in senso ironico!) non può esprimersi così.
La bandiera comunista o pseudo tale che è uscita malconcia dalla prova della Storia è quella travisata da appositi apparati di potere borghese, tendenti a screditarne l’immagine, è quella scaturita dal fallimento di una linea politica ed economica portata avanti dalla vecchia URSS e dai Paesi del c.d. “socialismo reale” dove non solo c’è stata carenza di democrazia ma anche e soprattutto di socialismo. Ma la vera ideologia comunista è quella prospettata da Marx la cui applicazione, purtroppo, ne è stata finora un surrogato, pur con tutte le sue debolezze derivanti dalla contestualizzazione degli eventi. Per quanto mi riguarda, il comunismo oggi, rettamente inteso, è l’unica reale alternativa al post-modernismo. E’ un ideale difficile da concepire perchè la prospettiva dello sfruttamento, anche se meno affascinante rispetto a quella dell’egualitarismo, è sicuramente più appetibile. Del resto, l’idea che il capitalismo possa sopravvivere senza sfruttamento è un’idea impossibile : come si può concepire un capitalismo equo e sostenibile ?
Ma a prescindere da questo ragionamento, che ci porterebbe lontano e non approderebbe ad alcun risultato perchè ognuno rimarrebbe della propria opinione, mi pare di poter dire di non aver visto tra le immagini televisive (tra l’altro, “pilotate” nella più becera disinformazione) alcuna bandiera di qualsivoglia Partito.
La verità è che esiste per fortuna una gran massa di cittadini, delle più disparate estrazioni sociali, politiche ed ideologiche, che si oppongono alla logica del profitto, dello sperpero di denaro pubblico, dell’indifferenza agli impatti ambientali, della subordinazione alle minacce della ‘ndrangheta e così via.
Per questi motivi, il “notavismo”, come lo chiama Lei, forse in tono sprezzante, esprime, senza alcuna strumentalizzazione, proprio quei valori che Lei non gli riconosce, e cioè il modernismo, la crescita che spesso, come in questo caso, cozzano con un uso distorto della tecnica e del’investimento fine a se stessi.