(Sanniopress) – “Chi fa per sé fa per tre” dice il noto adagio che sembra fatto su misura per il governo Monti: se fa da sé fa contemporaneamente, come dimostrano peraltro i precedenti, per il Pdl, il Pd e il Terzo Polo. La posizione del governo Monti sulla riforma del lavoro, incluso il licenziamento dell’articolo 18, è quella che, anche al di là dei mugugni e dei contrasti veri o presunti, metterebbe tutti d’accordo. Il perché lo sanno tutti: l’Italia non può fare a meno di questo governo che ha ottenuto buoni risultati e ha dimostrato con i fatti di saperci fare. Dunque, Monti ascolti, consideri, discuta ma poi – cioè ora – tiri dritto perché ciò che si è deciso sta fatto bene e sia le “parti sociali” sia le “parti politiche” lo sanno bene. Poi, naturalmente, c’è la questione Pd ossia la questione della sinistra.
Niente di nuovo sotto il pallido sole invernale. Volete, forse, che a sinistra non ci sia una questione? Lui, Bersani, se l’è cavata con una battuta o pensa di essersela cavata con una battuta: “Siamo un partito che non ha un padrone, dove si discute e si prendono le decisioni insieme su vari temi, a partire dalla legge elettorale e dalla riforma del lavoro. Sono il segretario di quello che sarà partito del secolo nel quadro del riformismo europeo”. Sì, ma con un piccolo ma proprio piccolo particolare: la discussione sul tema del lavoro e dei suoi cambiamenti si sarebbe dovuta fare già da molto tempo. Anzi, se andassimo alla ricerca del tempo perduto della Seconda repubblica ci renderemmo conto che di altra non si è discusso che di come riformare il lavoro che, nel frattempo, cioè in venti anni, ha avuto tutto il tempo di cambiare un bel paio di volte. E la sinistra? Sempre a discutere. Anzi, a scioperare. Perché io – e anche voi – tutta la storia sull’intangibilità dell’articolo 18 me la ricordo bene. La grande mobilitazione voluta dalla Cgil di Sergio Cofferati contro il governo Berlusconi ve la ricordate? Il punto è proprio qua: a sinistra la linea sul lavoro la detta il sindacato e il partito deve seguire. Non sarebbe ora di invertire i rapporti? Altrimenti, Bersani “il partito del secolo” come lo fa? Non si rende conto che al massimo rischia di rifare il partito del secolo scorso?
Spesso, però, le cose non sono come appaiono. Se Bersani si è irrigidito, non è solo perché nel Pd convivono due partiti, la destra di Follini e la sinistra di Fassina, ma anche perché c’è chi pensa che la storia di Monti debba continuare anche dopo la legislatura e chi pensa che la storia di Monti debba finire con la legislatura. I primi sarebbero i “montiani” – il gruppo di Veltroni, Gentiloni, Letta e Franceschini – e i secondi sarebbero i “bersaniani” – il gruppo di Bersani che guida il Pd. Almeno così la scena è rappresentata da Maria Teresa Meli sul Corsera. Che sia vera o meno non importa più di tanto. E’ verosimile o almeno veridica, insomma passabile. Ma cosa c’entra con i soliti dilemmi della sinistra il governo Monti? L’esecutivo non ha il problema di governare domani o di vincere le elezioni tra poco più di un anno. Ha il problema di governare qui e ora per riformare ossia dare nuova forma a un mercato del lavoro che è rimasto nel secolo scorso mentre i suoi soggetti sono nel nuovo secolo. Molto spesso si è detto e si è sentito dire che la battaglia in favore dell’articolo 18 è una “battaglia di civiltà”. In realtà, è vero il contrario: ma non perché in assoluto giusto abolirlo, semplicemente perché si ha bisogno di nuove norme per provare a dare non solo opportunità ma anche lavoro e occupazione a chi è rimasto fuori. Un problema che è meglio risolvere ora altrimenti la sinistra, con o senza governo, se lo ritroverà domani ancora davanti e ancora una volta discuterà su cosa fare.
(tratto da Liberal)