(Sanniopress) – Prima le benedicono, le bestie, e poi le scannano. Nell’intermezzo ne fanno merce balocca: le sprangano in gabbia che manco c’entrano, le mostrano al popolo e trafficano all’asta. Tutti ne ridono. Il prete baluba, viene dall’Africa nera, guarda tutto giocondo. La chiamano Tradizione.
La storiella giustificazionista della consuetudine è una brutta storia. Sta là, belluina, presto pronta per tutti i porci comodi. Dietro ci puoi nascondere tutta la smania animalesca, la rozza brama di sopraffazione, tanto la tradizione ti mette tutto sul piatto. Le femmine, i froci, gli storpi ne sanno qualcosa. “Pulisci, cucina e fotti” è la funzione che la Tradizione, e la Tradizione fa legge, ha regalato alla donna. Tutti quelli che la storia ha pesantemente sodomizzato ne conoscono l’oscenità e, di rimando, l’indecenza della tradizione come giustificazione.
Ora, il problema non sono i soprammenzionati sottoposti della storia. Per “negri, froci e giudei” la civiltà ha rimosso le pregresse eclatanti forme di sopraffazione. La questione sono gli altri inculati della storia, quelle bestie, meglio animali non umani, a cui accennavo all’inizio. Il porco si scanna per la festa del paese, il capitone, vivo, lo squarti sotto Natale, il vitello, il maialino, e l’agnello li smercia all’incanto il banditore per il santo patrono. La Tradizione giustifica.
Il discorso sulla servitù cui l’animale umano ha costretto quelli non umani è assai ampio e investirebbe, prima di tutto, allevamenti e sperimentazione scientifica. Qualche parola, però, ha da essere spesa in merito a fattispecie vessatorie, per così dire, “popolari”. Ne scrivo anche alla luce di alcune recenti polemiche su bracconaggio e attività venatoria nella provincia beneventana.
Le manifestazioni “popolari” di cui si parla riguardano la caccia, l’attività circense, la vendita di animali vivi in occasioni solenni, e così proseguendo su questa lunghezza d’onda. Ho aperto quest’intervento riportando l’episodio, significativo, della festa patronale. Vale per tutti. Le bestie sono benedette dal parrocco e rinchiuse in celle. Alcune sono già cadavere. Il banditore le spaccia a poco prezzo. E’ divertente, il banditore, tutti si sollazzano. Alla fine qualche bestia la sgozzano.
Dimostrazioni plebee di tal fatta, coperte dietro il velo della Tradizione, hanno da essere stimate, valutate. Non occorre essere animalisti del tipo di Peter Singer, il grande filosofo del movimento dei diritti animali. Non si chiede di convertirsi all’utilitarismo integrale e, di rimando, al radicalismo antispecista. Nè si reclama Tom Regan e la filosofia dei diritti animali. Ecco, non serve nulla di tutto questo per constatare l’abominio dell’oppressione “popolare”. Il popolo, sì bestiale, si rimpinza di lordura. Si fottano gli “interessi” animali. La Tradizione è la foglia di fico, nulla di più. Ce lo si metta in testa. Non serve nemmeno cincischiare sull’assenza di nesso logico Tradizione-morale.