(Sanniopress) – In queste ore sul web infuria la polemica contro la Rai che si appresta a chiedere il pagamento del canone a chiunque possieda un dispositivo (pc, tablet, smartphone, etc.) collegato alla Rete. Per farlo, ha deciso di applicare il regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 che stabilisce il versamento della tassa per “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”. A giustificare la disposizione è l’articolo 17 del decreto ‘Salva Italia’ varato dal governo Monti, secondo cui “le imprese e le società […] devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione la categoria di appartenenza ai fini dell’applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale”. E il costo varia dai 200 ai 6mila euro.
Come a dire: “Hai un cesso? Allora devi pagare il canone Rai perché è adattabile alla ricezione della tv”. Di fronte a questa sorta di azione vessatoria di stampo medievale il popolo del web ha reagito con veemenza e, colto da profonda indignazione, anch’io mi sono associato alla protesta, scrivendo sulla mia pagina facebook che “è ormai giunta l’ora di abolire il canone”. Ed ho anche aggiunto: “Rai vaf…..lo!”.
Il mio commento non è piaciuto ad un collega che lavora presso l’azienda di viale Mazzini (ce ne sono tanti tra i miei amici facebook…), che ha così commentato: “Complimenti per… l’eleganza del linguaggio”. Orbene, credo che l’inelegante espressione utilizzata sia la più appropriata per esprimere il grado (elevatissimo) di indignazione che provo di fronte all’ultima iniziativa messa in atto dall’azienda Rai (con non va confusa, è bene chiarirlo, con quanti con abnegazione e professionalità vi lavorano quotidianamente).
Quella stessa Rai che in queste ore – vedi il blog ‘Errori di Stampa’ – è al centro di vivacissime polemiche perché nei propri contratti di collaborazione prevede il licenziamento delle collaboratrici a partita Iva (le cosiddette “precarie”) rimaste incinte, se la loro produttività viene compromessa dalla gravidanza.
Quella stessa Rai che, come ha scritto nei giorni scorsi Giancristiano Desiderio su questo blog, “non vi fornisce il servizio ma vi vuole fare il servizio…Invisibile a Sant’Agata dei Goti, da dove sto scrivendo ora, ma invisibile anche in altre zone della provincia di Benevento” tanto da costringere alcuni sindaci a denunciare pubblicamente il grave disservizio.
Quella stessa Rai a cui mia madre, che vive a Cerreto Sannita, paga regolarmente il canone ma che per vederla è costretta a comprare il decoder di Tivusat (100 euro di spesa) che, come si legge nel sito, “è nato per integrare il digitale terrestre laddove, per ragioni orografi, si verifichino problemi di copertura o ricezione del segnale” (che stranamente non si registrano con gli altri operatori televisivi…).
Quella stessa Rai che, come scrive oggi il Fatto Quotidiano, per la 62esima edizione del Festival di Sanremo fa registrare ottimi ascolti (57,5 per cento di share, 13,3 milioni di telespettatori) ma pessimi bilanci economici (18 milioni in uscita e 14,450 milioni in entrata, e dunque perdite oltre i 3,5 milioni di euro da ripianare).
E potrei continuare all’infinito. Ecco perché, di fronte alla richiesta di pagamento del canone ai possessori di pc, tablet e smartphone (che sembra rispondere solo ad una non dichiarata ma evidente esigenza di ‘far cassa’) , rivendico il diritto ad esprimere la mia indignazione con una inelegante ma sincera espressione liberatoria: “Rai vaf…..lo!”. E non me ne vogliano i tanti, bravi colleghi che lavorano nell’azienda, legittimamente preoccupati per l’eventuale ( auspicabile) abolizione del canone.