(Sanniopress) – Domenica 19 febbraio ore 15.00. Lo show è terminato. Wung Tu ride sempre, mi ha riconosciuto, mi chiede come è andato il festival mentre mi serve riso, funghi e bambù con salsa di soia. Nella mia testa riecheggiano ancora i circa 200 tra stacchi, entrate, jingles, balletti e canzoni dei concorrenti nelle varie versioni.
Il Festival di Sanremo è, per un musicista, un’esperienza davvero intensa; massacrante fisicamente per le 14 ore circa di prove giornaliere, ma davvero interessante dal punto di vista professionale. Si ha modo di misurare le proprie forze psicologiche, l’autocontrollo e la resa in stato di stress. Si ha la possibilità di constatare le debolezze e le indecisioni dei grandi, quelle che non passano oltre il teleschermo.
Ti accorgi che tutto è possibile nel bene e nel male e che quando si crede in se stesso le cose avvengono, i risultati si ottengono. Si stringe amicizia con i cantanti, con gli operatori, con i direttori: tutti contatti importantissimi che potrebbero avere un seguito.
Ho già fatto televisione nazionale in diretta e sono preparato all’impatto emotivo e alla concentrazione che occorre in questi casi. Il bagaglio di esperienza accumulato negli anni, sia nell’ambito pop che classico, è determinante. Devo ammettere però, che questa kermesse è uno tsunami di emozione.
La Sanremo Festival Orchestra è davvero una grande orchestra e ad una grande professionalità si accompagna un’alta qualità umana e questo è stato un ottimo punto di partenza per me.
Sono l’unico campano nella Sanremo Festival Orchestra e all’inizio tutti mi identificavano come napoletano. Ora tutti conoscono il Sannio e sono anche incuriositi. A cena ci siamo salutati con affetto, qualcuno di loro mi ha detto: “Oramai sei dei nostri”. Ho sorriso. “Ne sono fiero” ho risposto compiaciuto.