(Sanniopress) – La Rai è invisibile sullo schermo ma visibile sul bollettino del canone. Non vi fornisce il servizio ma vi vuole fare il servizio. La Rai è letteralmente invisibile a Sant’Agata dei Goti, da dove sto scrivendo ora, ma è invisibile anche in altre zone della provincia di Benevento, ad esempio nell’area di Guardia Sanframondi. La Rai è tv di Stato e si sente in dovere di chiedere soldi in nome del cosiddetto “servizio pubblico” che regolarmente non dà né per la visibilità né per la qualità. Ma se non vi dà il servizio perché dovete pagare il canone?
Pierluigi Battista proprio ieri sul Magazine del Corriere della Sera firmava un articolo così intitolato: “Aboliamo il canone Rai”. Le sue ragioni sono pienamente condivisibili da tutti. In molti si lamentano e dicono: “Ma perché con i miei soldi devo finanziare Bruno Vespa? Ma perché con i miei soldi devono finanziare Giovanni Floris?” Già, perché? Ecco perché il balzello del canone Rai va abolito senza stare più a discuterne. Il canone Rai appartiene a un’altra epoca della televisione, delle comunicazioni e della storia del secolo scorso. Ecco perché l’ingiustissima tassa è stata trasformata in tassa sul “possesso” del televisore. Appunto, solo un balzello e giustamente Pierluigi Battista può dire che ci riporta “all’epoca degli spazzacamini precedente all’invenzione dei moderni impianti di riscaldamento”.
La storia del servizio pubblico non sta proprio in piedi da nessuna parte. A cominciare dalla pubblicità. In Europa il canone non c’è e c’è la pubblicità, mentre in Italia ci sono l’uno e l’altra. La Rai è un pachiderma e va privatizzata, come peraltro dissero gli italiani con un referendum. La Rai è tutta lottizzata: questo è stato assunto da Tizio, quello da Caio, quell’altro da Sempronio. Insomma, qui di servizio pubblico non c’è proprio niente. E vogliono i soldi – ogni anno sempre di più – per mantenere in piedi questo baraccone.
Sullo stesso numero del settimanale del giornale di via Solferino c’era anche un altro articolo dedicato alla Rai. La firma è di Aldo Grasso e il titolo questo: “Rai, servizi etto pubblico”. Si racconta di una telefonata tra il nuovo direttore del Tg1, Alberto Maccari, voluto dai consiglieri di centrodestra del Cda della Rai, e un fasullo Umberto Bossi interpretato da David Parenzo della trasmissione “La Zanzara” di Radio 24. Il dialogo è stato il seguente: “Direttore, volevo farle i complimenti per la nomina”. “Eh vabbé, speriamo che domani vada tutto bene, ma penso di sì”. “A noi della Lega va bene perché lei è una persona di garanzia”. E il direttore Maccari: “E lei è sempre una persona squisita, me la ricorderò sempre, sappia di poter contare su un amico, sappia sempre questo”. Il finto Bossi ha aggiunto: “Vorrei un po’ di riguardo per il Nord”. Risposta: “Senz’altro”.
Dunque, questa è la Rai, questo è il servizio pubblico. E ci chiedono anche i soldi perché abbiamo un televisore. E meno male che lo abbiamo un televisore: per vedere le altre televisioni, che si vedono, e che ci offrono una possibilità in più di informazione. Quella della Rai, come vedete, è destituita di fondamento alla sua fonte.
Il sindaco di Sant’Agata dei Goti ha scritto alla Rai di Roma e a quella di Napoli facendo presente il disservizio che dura da un bel po’ (ma in verità qui la Rai ha sempre avuto grandi problemi di trasmissione e ricezione ma ha sempre riscosso il balzello). Anche il sindaco di Guardia Sanframondi ha fatto altrettanto. E’ probabile che sul loro esempio lo faranno altri là dove la Rai è invisibile. Ma il punto vero della questione è un altro: la Rai è invisibile e quando si vede è inguardabile e inascoltabile. L’unico modo che ha per ricominciare a fare televisione è quello di non contare sul canone, di non essere più statale e di basarsi sull’indipendenza e la serietà. Io non ho il televisore e non pago il balzello ma mia madre sì. Quest’anno per l’ultima volta.