di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – In una bella e bella piena sala del Convitto Giannone abbiamo inaugurato la Libera scuola di filosofia del Sannio. Il tema che ho scelto per iniziare il cammino è stato il rapporto tra pensiero e libertà nella storia della filosofia o del pensiero occidentale. Mi sono sforzato di essere chiaro e, naturalmente, ho anche “forzato” la storia delle idee. Ma è inevitabile che sia così in ogni “lettura”. Ne è scaturita una discussione, non priva di equivoci, che di fatto ha battezzato la scuola che altro non vuole essere che ciò che è: discussione critica e gusto del giudizio. Ora, però, lasciate perdere su come deve essere la scuola. Fatela. Io, insieme con Amerigo Ciervo e Nicola Sguera, lavorerò per questo. Basta anche chiedersi cosa sia la filosofia e cosa insegna. E’ pensiero e vita morale, dunque lotta. Ecco perché è bene mettere da parte sterili accademismi e presunzioni sia verso i temi sia verso gli autori. Anche la lettura e il commento di un testo classico o contemporaneo è un buon “mezzo” per ascoltare e imparare a ben giudicare.
Se è vero o ragionevole quanto dicevamo ieri, ossia che il conflitto è inevitabile perché la domanda “Come vivere?” tollera più risposte, allora, non solo non c’è una realtà armoniosa o razionale a senso unico ma – ecco il punto – non è neanche concepibile e chi dice di concepirla bluffa. Se bluffa per sé, è legittimo. Se pretende bluffare per tutti, no. Il compito della filosofia, dunque, ossia del sapere critico, è nelle cose stesse: evitare l’abuso del potere che il più delle volte è fondato su un bluff cognitivo. In due parole: se non si sa tutto, non si può tutto. Il potere non va demonizzato perché l’uomo senza potere, cioè senza techné, non può stare al mondo; ma il potere va limitato. Ogni potere, non solo quello politico o sovrano, ma quello religioso, quello tecnico, quello scientifico, quello economico, lo stesso potere filosofico. Perché questa funzione contro l’abuso è svolta dalla filosofia? Semplice: perché gli altri poteri pensano solo se stessi e quindi tendono per loro natura all’abuso di sé. La filosofia, invece, cerca di pensare anche ciò che non è e quindi cerca di ricondurre le cose nei loro limiti. Detto anche qui in due parole: pensa il conflitto stesso affinché non degeneri in tracotanza.
La verità e la vita sono i due lati dello stesso panno. il possesso della verità equivale al possesso della vita. Ciò che va discusso allora è proprio l’idea di possesso per giungere a un concezione diversa dell’essere. Spesso si parla di fine o morte della filosofia e non a torto. Per due motivi: sia perché si sostiene che il percorso della dottrina della verità sia giunto al suo completamento e questo può anche essere accettato da un punto di vista della forma; sia perché si ritiene che la filosofia come razionalizzazione dell’essere si è ormai compiuta nella scienza e nella tecnica e, dunque – si aggiunge – serve ora un’altra filosofia ossia una nuova concezione dell’essere. In realtà, ciò che è finito o morto è la filosofia come “filosofia definitiva” o metafisica che intendeva racchiudere in sé ciò che non si lascia racchiudere perché, come detto, è non-concepibile. Temi per continuare a discutere, dunque, ce ne sono, eccome. E ruotano intorno a problemi che riguardano la nostra esistenza sulla quale noi stessi, molto spesso, crediamo di poter esercitare un controllo totale o assoluto. Mentre, come nel gioco del calcio, noi stessi siamo un misto di controllo e abbandono.
Carissimi, non vi dannate l’anima a cercare di individuare un tema da discutere la prossima volta. Ci siamo affidati a Nicola ed Amerigo che sono una sicurezza di competenza e buon gusto. Perché rovinarsi la sorpresa? Lasciate che siano loro a scegliere. Ne hanno il diritto dal momento che dovranno parlare, argomentare, introdurre la discussione. Inoltre, la cosa più semplice è quella di leggere un testo e commentarlo. Si è sempre fatto così nelle scuole di filosofia, antiche e moderne. Ad esempio, mi piacerebbe leggere qualcosa dall’Apologia di Socrate e poi discuterne. La “questione socratica” è sempre attuale e da molte angolazioni. Ma non è detto che si debba scegliere un testo greco. Si possono leggere anche pagine contemporanee. Oggi, ad esempio, ho letto qualcosa dal libro “Passaggi” di Vittorio Foa. Sulla copertina di questo prezioso volumetto si legge: “Anche negli scontri più duri, in quelli ideali, dovremmo capire le ragioni dell’avversario”. E’ un modo di proseguire quanto detto ieri da me e, mi è parso di capire, condiviso da molti di voi, sia pure con contributi personali.
Il conflitto, infatti, non si basa sull’incomprensione altrui ma sulla comprensione. Se non comprendessi l’altro, non vi potrei essere in conflitto. Il conflitto è: comprendo e non condivido. Nella comprensione c’è la radice del conflitto e della sua composizione che chiama in vari modi: tolleranza, convivenza, apertura. Che cos’è che permette la comprensione? La comune umanità. E’ un “concetto ponte” – ma tutti i concetti sono dei ponti – che rende possibile capire la nostra condizione. La “comune umanità” non si lascia però ricondurre a una “natura umana” altrimenti si tornerebbe all’idea che abbiamo de-costruito all’inizio: quella di una natura umana intesa nella sua interna razionalità.
Le pagine di Foa sono molto belle e mi hanno fatto ricordare quando lo incontrai prima nella sua casa di Formia e poi nella sua abitazione di Roma a via degli Avignonesi. L’ultima volta era quasi cieco ma aprì lui stesso la porta di casa. Gli diedi il braccio e ci avviammo nel soggiorno per sederci in poltrona: due poltrone bianche e un lume che illuminava la penombra del tardo pomeriggio romano. Parlammo del Novecento, dei totalitarismi, del male. E Foa, quasi come se stesse parlando a un nipote o un figlio, mi teneva la mano e diceva: “La lezione che ne traggo è che il male si può vincere se si capisce che è dentro di noi”. Ed è così: ognuno di noi si porta dentro il male e la vita morale è la vita che affronta nella quotidianità e nell’opera il male e lo fronteggia tanto con l’azione, il lavoro, la forza tanto con il pensiero che rischiara la giornata e la nottata. Quando Vittorio Foa morì ripubblicai ampi stralci dei nostri colloqui che erano usciti qualche anno prima in un volumetto per un editore romano. Mi sentii con Renzo, anche lui scomparso, ora, purtroppo, e mi disse: “Bello il vostro dialogo, Vittorio ne era contento”. Ne ero contento anche io che vedevo la filosofia o il pensiero incarnato nella vita di un uomo che aveva attraversato tutto il Novecento, i suoi conflitti e le sue spaventose contraddizioni e guerre e pure riusciva a vedere e indicare la luce. Lui che non ci vedeva.
(Ps: tutto potevo immaginare, tranne di essere “scaricato” in Mp3. Forse è il caso che queste noterelle sparse che ho scritto oggi sulla nostra Libera scuola di filosofia, che continua anche dopo l’incontro al Convitto Giannone, le raccolga insieme per la rubrica “Aristotele” di Sanniopress).