(Sanniopress) – I ragazzi e le ragazze del Liceo Manzoni di Caserta che ieri hanno ascoltato dalla viva voce di Giuseppe Ayala la storia italiana di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non erano ancora nati quando nel maggio e nel luglio del 1992 i due giudici siciliani, con gli agenti della scorta, morirono nelle stragi di mafia sull’autostrada Palermo-Capaci e in via D’Amelio. Io quelle giornate e quei mesi li ricordo molto bene perché quelle bombe fecero tremare non solo la terra e i palazzi ma le coscienze di tutt’Italia. Pochi giorni fa è morto il presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, che proprio nel 1992, dopo la morte di Falcone e della moglie Francesca Morvillo, fu eletto capo dello Stato per dimostrare l’esistenza di uno Stato che sembrava impotente davanti alle bombe dell’Antistato, come si diceva. Tanto che dopo la strage di Capaci, lo ricordo come se fosse ora, il povero Paolo Borsellino era considerato un “morto che cammina” e si udiva dire: “Il prossimo sarà lui”. Ma Paolo Borsellino disse: “E’ bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Ai liceali, che sono giunti all’incontro con il “sopravvissuto” di quelle stragi nell’ambito del progetto scolastico “educazione alla legalità”, è stata raccontata questa storia italiana che sconfiggendo la barbarie e mostrando l’esempio della civiltà è perfino o soprattutto nella morte storia di vita.
Giuseppe Ayala ha lavorato e vissuto più di dieci anni con “Giovanni e Paolo” e alla loro storia comune, che in fondo continua ancora, ha dedicato il libro che prende il titolo proprio dalla frase di Borsellino che è il riassunto della sua vita di magistrato e del senso della libertà della nostra civiltà occidentale: “Chi ha paura muore ogni giorno” (Mondadori). Un libro che, edito qualche anno fa, è giustamente diventato un bestseller ed è approdato negli Oscar della casa di Segrate. Perché Ayala racconta la sua verità su Falcone e Borsellino, ricordando l’imprescindibile contributo alla lotta alla mafia e le loro sempre attuali riflessioni sulla Sicilia, Cosa nostra, la giustizia e la politica ma si sofferma anche, e non potrebbe essere altrimenti, sulla loro ironia, le loro passioni civili e private, e la gioia di vivere. Il testo inizia con un aneddoto che, dando il senso di una “storia di una grande amicizia”, è bene riportare. Ayala è rientrato in magistratura dopo anni di Parlamento e gli è capitato di dover redigere una sentenza di condanna per “il furto aggravato di nove galline ovaiole e un gallo”. Imbarazzo e risate. Ma non da solo: “Ho sentito Giovanni e Paolo farlo con me. A Crepapelle. Ho la presunzione di sapere esattamente quello che mi avrebbero detto: ‘Finalmente fai quello per cui sei tagliato”. E passando dal serio al faceto: “Se dal maxiprocesso sei finito tra i ladri di polli, il problema non è tuo, ma delle istituzioni, ancora oggi padrone infedeli dei loro migliori servitori. Noi ne sappiamo qualcosa. E comunque, futtitinni e pensa ‘a salute!”.
C’è tanta verità nella battuta “dall’aldilà” di Falcone e Borsellino raccontata da Ayala. Se la vogliano ripetere in modo severo possiamo riportare quanto dice Ayala qualche pagina più in là: “La mafia non è affatto più forte dello Stato. E’ molto più debole. Ma se il potenziale vincitore gioca la partita con la formazione sbagliata, fa un favore a quello che dovrebbe essere il perdente, o no?”.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)