(Sanniopress) – Il culto della Madonna Nera è diffuso nell’area mediterranea ed europea. La “madre” più nota è forse quella di Czestochowa in Polonia resa famosa dalla devozione che ne aveva Giovanni Paolo II. Ma Papa Wojtyla non rivolgeva il suo sguardo solo alla “sua” Madonna polacca ma anche alla Signora di Loreto e, in Campania, alla Madonna della Libera o Schiavottella che si venera a Moiano e che Karol Wojtyla benedisse personalmente a Roma nella Sala Nervi. “Vergine bella immacolata e degna/ di tua bellezza un Dio innamorasti/ Tu ci largisti il Re che in cielo regna/ e Madre nostra allor tu diventasti” recitano i primi versi dell’Inno moianese a questa antichissima madre mediterranea nascente forse dalle cavità del Taburno, il monte caro a Virgilio e Orazio che domina la Valle Caudina, teatro di guerra tra romani e sanniti. Se il culto per le Madonne Nere è diffuso in tutta l’area mediterranea e oltre, la devozione per la Signora della Libera ha una particolarità unica al mondo: il rito dello strascino.
Per sapere bene cosa sia lo “strascino” va letto e guardato l’ultimo documentato libro di lettere e fotografie di Amerigo e Marcello Ciervo meglio noti come Musicalia: Moiano. La memoria del villaggio. Il titolo rimanda, capovolgendolo, al richiamo di Ernesto De Martino alla necessità di avere un “villaggio nella memoria” per essere cittadini del mondo. Del loro “borgo natio” i fratelli Ciervo hanno ricostruito la memoria possibile convinti con Simone Weil che “il futuro non ci porta nulla, non ci dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli persino la nostra vita”. E proprio questa vita – bios – è al centro del controverso rito dello strascino che si tiene ogni 8 settembre nella chiesa della Madonna della Libera a Moiano: lo “strascino” è lo strisciare della lingua dei penitenti sul pavimento della chiesa fino a giungere al cospetto della Madonna – il divino – e baciarla per la grazia ricevuta o da chiedere. Fino a qualche tempo fa il rito avveniva in pubblico e, attraverso i penitenti, vi partecipava tutta la comunità del borgo e delle campagne, ora, invece, il rito, urtando la sensibilità moderna, si fa a porte chiuse. Al di là della stessa religiosità popolare, il rito esprime sotto la forma della penitenza il tentativo che c’è in ogni forma mitica o magica dell’esistenza: la volontà di ricongiungersi al divino e ritrovare la sicurezza dell’unità perduta dalla vita ferita e mortale.
La chiave antropologica ed etnologica è quella giusta per avvicinarsi all’opera dei Musicalia che proprio all’opera dell’autore di Sud e magia si sono ispirati per la loro ricerca musicale e popolare nella terra dell’antico Sannio. Un lavoro che, però, in verità, ha le sue radici nella tradizione musicale della famiglia Ciervo. Tutti in famiglia cantavano e suonavano: il padre Corrado, lo zio Pasquale, zia Rosa ma soprattutto zio Antonio – Antonio Ciervo – che fu autore di versi di molte canzoni napoletane nelle quali, se le ascoltate o leggete, sentirete qualcosa di Salvatore Di Giacomo. Una in particolare merita di essere ripresa – “Statte vicino a me” – perché arrivò terza al Festival di Napoli nel 1954 ed entrò nel repertorio di grandi interpreti della canzone napoletana: Roberto Murolo, tanto per fare un nome. La bella canzone fu cantata da Teddy Reno in quel film capolavoro che è “Totò, Peppino e la malafemmina”. La riporto di seguito perché leggendola si apprezza l’aria musicale dei versi:
‘O bbene, si è sincero,
è troppo amaro quanno se perde.
Primma ch’è troppo tarde
Te ll’aggi’ ‘a fa’ capì.
Statte vicino a me pe’ n’ata sera,
tu nun ‘o ppuò sape’ comme si’ cara.
Accarezzame comm’ ‘o cielo accarezza ‘a luna,
accarezzame comm’ ‘o mare accarezza ‘a rena,
famme addurmi.
Comme te ll’aggi’ ‘a dì: “Te voglio bene”.
E’ solo un assaggio del ricco universo Musicalia che spazia dalla musica alla etnografia al teatro. Lo stesso libro da cui ho tratto la storia della Madonna Nera della Libera è un testo di natura enciclopedica che rende giustizia a un paese che fu un fertile casale la cui ricchezza umana e artistica – si vedano le foto della colorata magia della chiesa di San Sebastiano con gli affreschi di Tommaso Giaquinto allievo di Luca Giordano – è sottovalutata dagli stessi sanniti.
(tratto dall’edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno)
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