(Sanniopress) – Pasquale Viespoli ha la scorta perché è stato sottosegretario al Welfare e il nostro è il Paese in cui la Brigate rosse hanno ucciso giuslavoristi come Massimo D’Antona e Marco Biagi che prestarono il loro lavoro al ministero del Lavoro. Benevento può essere ex città tranquilla ma non è la odierna inquietudine sannita la ragione della scorta dell’ex sindaco. Se la difesa della vita di Viespoli dipendesse dalla condizione sociale di Benevento, allora, l’ex sindaco potrebbe rinunciare alla scorta. Non c’è dubbio. Ma non è proprio il caso di fare esperimenti sulla pelle degli altri e nessuno di noi si deve augurare per Benevento un nuovo martirio terroristico dopo quello di Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano. La polemica di Gabriele Corona questa volta – è il caso di dire – è fuori bersaglio. Si ha l’impressione che il duello rusticano tra Corona e Viespoli sia dettato da motivi personali e da contrapposizioni datate, insomma, da ruggini del passato piuttosto che da vere ragioni del presente. Corona, che in altri casi è di una precisione e pazienza certosine nel puntare il dito e muovere il suo j’accuse, questa volta ha commesso un errore che come un boomerang può ritornare nel punto in cui è stato lanciato. Il lavoro che Corona e Altrabenevento compiono è meritorio ma proprio perché meritorio lo stesso Corona non deve svalutarlo e ne deve tener conto.
La stessa cosa vale per Viespoli. Ha un passato da custodire e un futuro da costruire, ma non così. Anche lui ha commesso il suo errore di valutazione. Siamo d’accordo: l’articolo comparso sul Venerdì di la Repubblica – ma certe cose non fatele dire a me – non era granché. C’era più di uno strafalcione ma guardiamo la sostanza: stava in piedi. Benevento non ne usciva bene, siamo d’accordo. Ma – e siamo al punto e siamo seri – Benevento può uscir bene da un articolo, da chiunque sia scritto? Come beneventano e come ex sindaco e come primo della classe Viespoli si è sentito ferito nell’onore e ha reagito. Forse, al suo posto avremmo fatto altrettanto. Avremmo sbagliato. Avremmo sbagliato due volte: la prima volta perché la polemica politica fa il gioco dell’ “avversario” e la seconda volta perché anche un articolo sbagliato ha il suo diritto all’esistenza. La reazione di Viespoli, invece, per quanto comprensibile, è sembrata proprio un fallo di reazione indirizzato più agli informatori beneventani che alla giornalista. Sembra quasi che la polemica che ne è nata tra Viespoli e Corona sia la prova provata delle accuse di provincialismo avanzate dal pezzo del settimanale scalfariano.
Su un punto sono tutti d’accordo: Benevento va raccontata in altro modo. Ma è proprio sulla modalità che iniziano le differenze. Tuttavia, al di là delle inevitabili differenze, che per fortuna ci sono, la vera novità sta proprio nella nascita di un racconto beneventano che ormai è diventato parte attiva della vita cittadina. Come ce la vogliamo raccontare Benevento? Ecco il punto. Corona scrive un romanzo criminale, mentre Viespoli offre una rilettura della saggistica meridionalistica. Ma sia il romanzo di Corona sia il saggio di Viespoli sono solo due modi di raccontare Benevento che non è né romanzo criminale né saggio meridionalistico o né solo l’uno né solo l’altro. La politica non ha più l’esclusiva del racconto beneventano, né la storia e la cronaca della città sono riducibili al crimine. Per rubare il marchio allo stesso Corona, c’è un’altra Benevento che va raccontata o, se volete rubare il mestiere a Viespoli, c’è bisogno di una narrazione diversa per capire Benevento. E’ un racconto che non sta nel crimine né nella politica ma nelle vite disperse in città e non ha ancora trovato il suo congeniale mezzo espressivo per raccontare Benevento. E’ un racconto che non è più controllabile né da un partito, né da una chiesa, né da un giornale. Questa è la vera novità su cui vale la pena lavorare.