di Massimiliano Bencardino
(Sanniopress) – Ho trovato molto interessante il dibattito che si è generato su Sanniopress riguardo lo sviluppo culturale della città e vorrei partecipare allo stesso attraverso il mio personale contributo.
Il dibattito, che ha animato la discussione, è stato inaugurato, ad onor del vero, da Giancristiano Desiderio sull’interrogazione: perché Benevento non fa mai tendenza? La risposta che egli alla fine si dà, è che una tendenza la città la esprime nell’esemplificare l’archetipo della vita tranquilla di provincia. Ma attenzione! Persino dare continuità ad un banale esito di inazione esige una convergenza di tutta la comunità verso un modello culturale incentrato su “coordinamento e amor proprio se non patrio”.
Ed è proprio di questo che vorrei parlare: cultura e politiche territoriali.
Affrontare un tema del genere è difficile, soprattutto nella nostra contemporaneità postmoderna, dove non esistono più verità con la V maiuscola, ma molte con la minuscola e geograficamente caratterizzate. Ed è, particolarmente nelle aree periferiche, tutto un proliferare di rivendicazioni ossesive di identitarismo all’esterno (fondamentalismi religiosi e non solo) e all’interno (xenofobia e chiusura nel mito della “piccola patria”). Questi sono i confini, a mio parere, che una avvertita politica culturale rivolta al territorio deve scardinare. Questo è, anche e soprattutto, il compito di una classe dirigente capace d’interpretarla, difenderla e ostinatamente perseguirla nell’ambito di una visione condivisa popolarmente.
Bisogna lavorare all’idem sentire, a far crescere quell’omogeneità culturale che da sempre è alla base della saldatura tra individuo e collettività. Non reputo Sguera un passatista quando richiama i valori della tradizione contadina, quelli della chiesa non sanfedista e della famiglia. Ci leggo un richiamo alla sobrietà, al recupero del senso del sacro, della radicalità dei principi e del senso di reciprocità: vale a dire un recupero di normalità.
Condivido appieno. Ma per formazione non posso prescindere da un analisi del contesto territoriale che fa da scenario a queste dinamiche e che in tutti questi anni ha avuto una sua dinamicità che ha bisogno di saldarsi “culturalmente” con quanto andiamo fin qui dicendo.
Un ruolo strategico nella definizione delle politiche culturali è dato senza dubbio alla Città, laddove da sempre nascono le scintille creative che danno luogo ad originali processi di sviluppo e di trasformazione sociale. E, quindi, capirne l’evoluzione e la trasformazione ci aiuta a capire come organizzarne gli spazi della cultura e non solo.
Nella continua definizione di cos’è città e cos’è rurale, potremmo dire che la città è tale non solo per la sua connotazione urbana ma soprattutto per le funzioni che offre al suo contesto di riferimento. Nell’ultimo secolo poi le città sono molto cambiate e tali mutamenti hanno posto al centro dell’attenzione la complessità del fenomeno urbano, lo sviluppo delle periferie, il decentramento industriale, nonché lo sprawl urbano, ed hanno comportato la necessità di ridefinire lo spazio fisico della città.
Dalle suggestioni nate dai commenti che mi hanno preceduto viene fuori una immagine di Benevento come di una città quasi “imballata” in un luogo senza tempo, come se la Nostra non sia soggetta a cambiamenti e trasformazioni.
Ciò è quello che potrebbe apparire ma, in effetti, negli ultimi anni molti cambiamenti hanno percorso la città e molti mutamenti sono avvenuti. Se ci riferiamo all’ultimo ventennio, bisogna ricordarsi della nascita nel 1998 dell’Università del Sannio, della nascita delle agenzie Sannio Europa nel 2001 e del Marsec inaugurato nel 2003 ed ancora di ArtSannio e del Musa, dei centri commerciali LeClerc e I Sanniti, inaugurati nel 2005 e nel 2006, e della contemporanea pedonalizzazione di Corso Garibaldi nonché del fiorire conseguente del quartiere latino; tutti nuovi elementi che hanno inevitabilmente cambiato, ognuno nella misura della proprio raggio d’azione, non solo il disegno della città ma anche profondamente le abitudini dei cittadini.
Ed insieme a questo si ricordava come anche altre funzioni siano state ridimensionate – ricordo la sede della Banca d’Italia, il ruolo della stazione ferroviaria di Benevento – o non si siano affatto sviluppate; e penso dunque alle zone industriali che non sono mai nate quali quelle nella Valle del Sabato o nell’area industriale di contrada Torrepalazzo, se vogliamo limitarci alla sola città di Benevento.
Quindi da tempo la città è alla ricerca di una sua funzione, di una sua specificità, di un suo ruolo, come dovrebbe essere, che va, a mio parere, definito all’interno di uno sviluppo regionale policentrico. E’ questa la dimensione in cui ogni analisi della città e quindi anche della sua offerta culturale merita di essere trattata, altrimenti ogni discussione si svilisce nei commenti a latere della “sagra di paese”: i mamozi sono brutti, il muro arancione di via Traiano non fa pendant con il pavè, Batman rappresenta il diavolo così come il drago del corso Garibaldi si scontra con la cultura cattolica della città, e chi più ne ha più ne metta.
Negli ultimi anni è divenuto evidente, come, nelle regioni del mondo sviluppato, sia fondamentale per lo sviluppo di un qualsiasi contesto creare degli stimoli all’investimento, creare le condizioni o le precondizioni per cui questo si realizzi. E la funzione culturale è certamente tra questi, ed è per questo che in premessa affermavo che parlare di cultura va fatto con molta attenzione e con i guanti bianchi.
Alla cultura non bisogna pensare come qualcosa di consumabile, come una neutra compravendita di offerta culturale ma come qualcosa che contribuisca alla crescita di una società e che ne favorisca il suo sviluppo.
Senza dettagliare ulteriormente, come meriterebbe la discussione, volevo solo infine aggiungere che le città medie, come Benevento, da tempo vengono considerate come le “vie meridionali al post-fordismo”. Già da tempo la comunità europea ha individuato nelle città medie – sono19 in Campania – il luogo in cui strategicamente avverrà la crescita economica in tutta Europa.
Ed è per questo che in città arriva ed arriverà un notevole flusso di soldi, i famosi 42 milioni di euro, per i piani di rigenerazione urbana.
Dovremmo, dunque, epurare le nostre discussioni dai nostri confini vallivi e provare ad orientare il nostro sguardo al contesto campano, all’Europa e, perché no, al Mediterraneo. Dovremmo provare a capire insieme dove e come nasce una classe politica adeguata al compito, dove e come nasce una classe imprenditoriale che sappia fare di Benevento la città turistica che merita di essere e quali siano le modalità migliori per dar luogo ad una semina culturale che possa far fiorire una mixitè culturale, la quale deve servire a stimolare e sviluppare la crescita critica della nostra “meglio gioventù”.
L’immagine di una città statica deriva da queste mancanze. Non altro. Solo un lavoro in questa direzione può, quindi, favorire, in un circolo vizioso creativo, una offerta culturale che non sia solo un orpello ad una definita attività amministrativa ma la capacità di essere pungolo creativo, la capacità di far nascere processi virtuosi ed originali e la capacità, infine, di far camminare insieme alla crescita culturale una idea nuova di sviluppo della nostra città.