(Sanniopress) – Le riflessioni ospitate in questi giorni da Sanniopress, quelle di Giancristiano Desiderio, di Amerigo Ciervo, di Antonio Tretola, di Nicola De Ieso, di Maria Ricca, sono tutte preziose e contengono verità, in alcuni casi inoppugnabili, pur nella diversità dei punti di vista.
Io vorrei dare un contributo, mi sia permesso il termine, “straniante” alla querelle, associandola ad alcune riflessioni portate avanti con gli studenti del Rummo nelle giornate di cogestione (già vedo Giancristiano torcersi sulla poltrona…).
In due incontri, per me preziosi perché, come spesso mi capita, di sintesi rispetto ad un percorso più o meno lungo, ho cercato di illustrare i cardini della “decrescita conviviale”, con ampi riferimenti, ovviamente, a Latouche, ma anche a Illich, a Pasolini, a Franco Cassano. Che c’entra questo con Benevento? Utilizzando lo schema de Il pensiero meridiano di quel Franco Cassano che nel facemmo venire al De Simone nel 1996 ad interloquire con Pasquale Viespoli, è possibile che quello che fino ad ora abbiamo percepito come “ritardo” diventi una insperata possibilità per uno stile di vita cittadino all’altezza delle sfide del terzo millennio? Faccio un esempio semplice semplice (associato alla eccellenza della nostra gastronomia di cui parla Maria, e che attira anche ospiti da fuori). Qualche anno fa a Benevento (chi lo ricorda?) aprì un McDonald’s. Dopo un anno chiuse. Io ne gioii e lo vidi come un esempio assolutamente positivo non di ritardo culturale ma di “resistenza” ad una omogeneizzazione culturale in nome di uno stile, in questo caso conviviale e alimentare, specifico, proprio. Mi pare che, dopo la sbornia iniziale, anche la questione “ipermercati” rischi (in realtà è un auspicio!) di andare nella stessa direzione (ma chi si assumerà la responsabilità politica di quelle scelte che consideravo scellerate quando fui candidato sindaco di una piccolissima lista rosso-verde, e lo dissi pubblicamente, dieci anni fa?). Voglio dire che se Benevento assume uno sguardo “meridiano” su di sé, abbandona ogni prometeico ed empio sogno di “modernizzazione” dall’alto (la piattaforma logistica!) può diventare quella città a “a misura d’uomo”, ma anche di vecchio e di bambino, che la nostra epoca estenuata dovrebbe sognare. Non mi interessa né che Benevento produca grandi artisti né che diventi meta turistica: le città sono i luoghi di chi le abita, prima di tutto. E se da Napoli le famiglie vengono la domenica nella villa comunale un motivo ci sarà. Ed è quello che va difeso e potenziato, semmai creando altri spazi verdi nella città (come previsto, d’altronde) e piste ciclabili.
E vengo al punto che mi sta più a cuore, e sul quale convergo con Maria. Troppe volte dimentichiamo che “cultura” (Amerigo ci insegna queste cose) non è solo e soprattutto quella prodotta da artisti e intellettuali ma lo stile di vita complessivo di una comunità. Latouche lo ribadisce spesso, scrivendo che l’Occidente è per sua natura distruttore di “culture”. Ebbene, Benevento nel suo “ritardo” forse ha conservato integri dei semi che possono tornare a fiorire: penso alla cultura contadina, che sopravvive, malgrado tutto, e che potrebbe rigenerarsi e ridare un senso ai campi abbandonati. Non è una visione “georgica” della realtà ma anche una concreta prospettiva economica (a patto di subordinare ogni ragione economica al legame sociale). Penso alla “religiosità” beneventana che, liberatasi delle sue componenti controriformistiche e bigotte, potrebbe tornare ad essere vincolo, legame comunitario (e, ma oso troppo, riscoperta del sacralità della vita, vero punto di svolta di questo tempo apocalittico). Penso alle reti familiari di cui vediamo, giustamente, il risvolto amorale (o asociale) ma che hanno svolto una funzione decisiva di contenimento rispetto al disagio sociale (anche se i segnali degli ultimi tempi con rapine e furti a ripetizione sono un segnale assolutamente preoccupante che dovrebbe far scattare l’allarme rosso).
Io amo questa città, ne amo ogni pietra. Una poesia che mi è cara, di Jorge Luis Borges, dice:
Conosco le abitudini e le anime
e quel dialetto di allusioni
che ogni umano consesso va architettando.
Non ho bisogno di parlare né di fingere privilegi:
mi conoscono bene quelli che qui mi stanno intorno,
sanno bene delle mie angosce e della mia fragilità.
Questo è raggiungere la vetta più alta,
quello che forse ci concederà il Cielo:
né ammirazione né vittorie
ma semplicemente essere ammessi
come parte di una Realtà innegabile,
come le pietre e gli alberi.
Il titolo è Semplicità: per me un programma politico. So che quel che ho scritto sarà tacciato di passatismo, di idillio piccolo-borghese. Ma, con slogan coniato da altri, vorrei dire che il futuro, un futuro sostenibile e umano, ha cuore antico (per questo ammiro chi, come Amerigo, ha dedicato la vita a custodire frammenti provenienti da altre ere e a ritessere il filo della memoria). Benevento può essere una “città di transizione” (in senso non solamente energetico ma culturale), divenendo consapevole di ciò che, da sempre, è.
tutti possiamo dire tutto……..ma facciamoci una passeggiata nei vicoli del Triggio , di via Annunziata , del Trescene……..invano cerchi tra le rovine , la città è morta……