(Sanniopress) – A dire il vero io volevo scrivere della scissione del 1921, di turatiani e bordighiani, di Lenin e della Rivoluzione d’ottobre. Il tutto applicato al lavezzismo. E poi volevo scrivere del cinepanettone che, come ogni anno, da bravo tifoso del Napoli, sono andato a vedere al cinema. Ma lo farò in un secondo momento. Come immaginavo, la morte di Giorgio Bocca, scrittore e giornalista, ha rotto gli argini dei napulegni e scatenato un’ondata di giubilo frammista a echi di indignazione per quel che lo scrittore aveva detto di Napoli.
Comincio col dire due cose: Bocca è stato un grande giornalista, almeno fino agli anni Ottanta. Un professionista di razza, scrupoloso, indignato, pronto ad azzannare i potenti, il primo a occuparsi seriamente e in modo ultradocumentato di un signore milanese dalla smodate ambizioni. È stato uno dei padri fondatori di un quotidiano che ha stravolto e rivoluzionato il giornalismo italiano, “la Repubblica”, fondato da un certo Eugenio Scalfari. Su questi anni di Bocca si potrebbero scrivere libri e libri.
Poi, alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, non so per quale motivo, Bocca ha deciso di dedicarsi al Sud. Lo ha fatto in un modo a noi incomprensibile, e comunque partendo da un assunto: l’arretratezza – civica e legalitaria inannzitutto – delle nostre terre. Beh, non ha scoperto la luna Giorgio Bocca. Qualcuno c’era arrivato prima di lui, inserendo persino Eboli in un titolo di un libro che godette di un certo successo.
Quel che però mi ha sempre colpito del modo di relazionarsi al Sud da parte di Giorgio Bocca è stata una certa, innegabile, superficialità. Si è approcciato al tema avendo già la soluzione in tasca. In poche parole, non si è calato nella realtà. Diciamo che aveva le sue idee e ha costruito i suoi scritti in base a quelle. Da questo punto di vista, Bocca ha smarrito quel rigore professionale che fin lì aveva caratterizzato la sua opera. Non c’è peggior difetto per un giornalista che approcciarsi a qualsivoglia argomento avendo già un proprio giudizio. Un giornalista dovrebbe essere un foglio bianco sul quale man mano annotare quel che osserva, annusa, scorge, scopre.
Bocca non ha fatto così quando si è relazionato a Napoli. Ha espresso pensieri che io in parte condivido – il professor Trombetti, ad esempio, non la pensa così – ma il suo lavoro giornalistico, o psuedotale, è consistito unicamente nell’avvalorare le sue idee di partenza. E questo per me non è fare buon giornalismo.
Ovviamente resto lontano anni luce da chi festeggia la sua morte o usa termini qui irriportabili all’indirizzo di Bocca. Irriportabili, sia chiaro, anche se Bocca fosse ancora in vita.
Concludendo, io saluto un uomo che è stato un grande giornalista, che però è stato troppo superficiale nel voler analizzare la nostra città. Avrebbe potuto scrivere anche di peggio su Napoli, ma avrebbe dovuto documentarsi un po’ di più.
(tratto da Il Napolista)