(Sanniopress) – A parte il torrone, che hanno imparato a fare anche altri e che non è più un primato, in che cosa fa tendenza Benevento? C’è qualcosa in cui la città lenta è davanti e non indietro? Qualcosa in cui è locomotiva o apripista e non carrozza? Qualcosa in cui è imitata e non imita? Che cosa esporta Benevento? C’è un settore delle molteplici attività umane – manifattura, politica, letteratura, religione – in cui Benevento ha detto qualcosa di rilevante diciamo negli ultimi trenta o quarant’anni?
Non andiamo troppo lontano. Restiamo a casa nostra, in Campania. Se passate in rassegna la storia sociale di tutte le città capoluogo vi rendete conto che Napoli e Salerno, Caserta e Avellino, nel bene e nel male, hanno fatto qualcosa e hanno detto qualcosa. Da molti anni Salerno ha un buon sindaco e una buona amministrazione. Il limite di Enzo De Luca è quello di essere troppo salernitano. Quando ha fatto la scelta di candidarsi al governo della Regione è stato bocciato. Probabilmente sbagliò i tempi, ma non si può dire che la sua opera amministrativa non sia importante per i salernitani. Avellino, che Benevento concepisce un po’ come una sorellastra o una città cugina e la guarda dall’alto in basso, nonostante abbia avuto per anni una squadra in serie A e abbia dato ottimi giocatori – Vignola ad esempio, o il “fenomeno Juary” altro esempio – è stata nel passato non remoto della storia repubblica addirittura alla guida del Paese e anche se Indro Montanelli diede del boss a Ciriaco De Mita e gli irpini erano detti “il clan degli avellinesi”, come a volte ricorda con malinconia Gerardo Bianco, è vero che quel “clan”, che con Nicola Mancino ha rischiato persino di sedere al Quirinale, ha ispirato la politica di mezza Italia e più (e a Benevento ha prodotto, purtroppo, la imitazione delle “truppe mastellate”).
Caserta è una città strana, molto strana. Se non avesse la Reggia sarebbe una periferia con al centro un’altra periferia. Tuttavia, da questa città sono venuti fuori quello che è oggi ritenuto il primo attore italiano, Toni Servillo, uno scrittore di classe come Francesco Piccolo – e non cito i “minori” – e in quella periferia senza centro è nato, è cresciuto e si è mostrato al mondo, anche in modo eccessivo e parossistico, Roberto Saviano con Gomorra. E pensate forse che debba dire qualcosa di Napoli? Una città che attrae e respinge, che in questi anni di “rinascimento napoletano” ha mostrato il peggio della sua storia – come ha detto una volta Giorgio Napolitano – eppure il peggio del peggio fa notizia perché Napoli appartiene alla storia universale.
Benevento? Ha continuato a fare il torrone mentre gli altri lo menavano e continuano a menarlo. Se guardiamo alla storia di questa terra, che troppo spesso coltiva un tanto ingiustificato quanto pericoloso isolazionismo, ci accorgiamo che ha dato al mondo una storia medievale quale quella dell’ultimo santo Padre Pio da Pietrelcina al quale l’umanità sofferente senza speranza rivolge la sua ultima preghiera. Ma anche l’ultimo dei santi non è di Benevento, che ha più una storia ecclesiastica che religiosa, bensì “da Pietralcina” e la sua storia è più vicina ai misteri antropologici del Gargano che alla ruralità sannita. Anche la sanità di Francesco Forgione non è una tendenza beneventana.
Per sforzi che si facciano non sembra saltare fuori una “tendenza Benevento” che non sia la normalità di una tranquilla vita di provincia. Ci dobbiamo accontentare o rassegnare o acconciarci a questa “tranquilla vita di provincia”? Credo di sì ma con un ma. Anche la tranquilla vita di provincia ha bisogno di essere difesa e tematizzata. La tranquillità, come ormai sappiamo, la stiamo perdendo e la tematizzazione – quello che pomposamente è chiamato sistema-Sannio – è un obiettivo che è svanito dopo averlo solo un po’ intravisto con l’epoca Viespoli (che è l’unico momento politico in cui Benevento, anche senza fare tendenza, almeno intercetta la “stagione dei sindaci”). La tranquilla vita di provincia può essere innalzata a buon prodotto o modello a un patto: che Benevento sia effettivamente un capoluogo ossia il capo – la testa – di un luogo le cui membra abbiano un minimo di coordinamento e amor proprio se non patrio. E’ una sfida minima alla portata di un mondo minimo.
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a parte opinioni parecchio opinabili ti dico….. embè??????