(Sanniopress) – Viviamo tempi di “lacrime e sangue” e, visto che siamo nell’epoca della Benevento by night, anche di pipì. Dunque, ciò che ci vuole per limitare i danni della “società liquida”, come la chiama Zygmunt Bauman mica un fesso, è un assorbente o, nel caso di un’intera città abbastanza piagnona come Benevento, un grande pannolone che contenga un po’ tutti i “liquidi”: sia quelli necessari – quale è il sangue nelle vene e nel portafogli – sia quelli un po’ superflui e un po’ ipocriti – come le lacrime dei coccodrilli di lotta e di governo – sia quelli delle fisiologiche minzioni che sarebbe buona abitudine fare ognuno a casa propria e non sotto le altrui abitazioni. Benevento e la sua storia si lasciano comprendere dalla teoria dell’assorbente. Ora ve la spiego.
Esistono due Benevento: una è la città che sta sopra o appare, l’altra è la città che sta sotto ed è nascosta. La città che appare è moderna, la città che sta sotto è pre-moderna: l’assorbente, appunto. La città che sta sopra si modifica, cambia, si muove al passo con i tempi con qualche lentezza di troppo ma si muove. Il cambiamento è apparente perché le cose che mutano sono digerite dal corpo della città che le trasferisce alla città di sotto che le assorbe. La modernità – qualunque cosa si voglia intendere con questa parola: la fabbrica, la scienza, l’emancipazione, la democrazia – è assorbita dalla città di sotto a tal punto che gli stessi aspetti della modernità diventano punti di forza delle abitudini anti-moderne della città. Il rapporto squilibrato tra la modernità e l’assorbente è reso più facile dall’inesistenza a Benevento e dintorni delle concrete novità moderne: la fabbrica innanzitutto (con tutto ciò che ne segue) e la morte dell’agricoltura tradizionale senza la nascita (quando sarebbe stato il momento) dell’agricoltura industriale.
La teoria dell’assorbente non esprime solo un senso negativo. Tutt’altro. La città che sta sotto para i colpi della città che sta sopra. La tradizione cattolica, la prevalenza della famiglia sulla società civile, le origini contadine sono aspetti che hanno senz’altro attutito i colpi – ma per Benevento si è trattato di “colpetti” – della modernità rendendoli più sopportabili. A volte, però, la città che sta sotto è così assorbente da risultare asfissiante sia sul piano economico sia sul piano morale. Così il primo fenomeno dà luogo all’emigrazione, tanto operaia quanto intellettuale, e il secondo alla contestazione giovanile e alla scontentezza degli adulti.
La teoria dell’assorbente non spiega solo l’incerto rapporto di Benevento con l’attivo mondo moderno. Con la stessa teoria (e con lo stesso assorbente) possiamo capire il senso dell’eterno piagnisteo beneventano che è un capitolo dell’eterno piagnisteo meridionale di chi “chiagne e fotte”, piange e fotte. La città che sta sopra – la città moderna – e la città che sta sotto – la città tradizionale – sono la stessa città ora vista da sopra e ora vista da sotto. Basta cambiare angolo di osservazione e ciò che sta sotto va sopra e ciò che sta sopra va sotto. Insomma, tutto è sottosopra. Cambia la visuale, ma non la città. Proprio perché la modernità non ha fatto mai irruzione in modo traumatico, ciò che è venuto al mondo è un mondo allo stesso tempo antico e moderno o – e la seconda che dico credo sia più vicina alla verità – né antico né moderno ma antiquato e parvenu. Più che mettere insieme il meglio dei due mondi, si tende a sommare il peggio: più che il senso della famiglia abbiamo il familismo e più che il senso dello Stato abbiamo il partitismo, più che la riconoscenza abbiamo il servilismo e più che l’autonomia abbiamo l’anarchia. I due mondi sono in realtà due modi di stare al mondo di un unico essere: chi introduce il moderno o il cambiamento sa di doversi rivolgere al mondo tradizionale che a sua volta sa che per continuare ad essere deve assorbire la modernità. Dunque, se si vuole fottere bisogna saper piangere. Più si piange, individuando questo o quell’alibi inesistente – la destra, la sinistra, i fascisti, i comunisti, Berlusconi, l’Ulivo, l’Europa, i fondi, le infrastrutture -, più si fotte. Ognuno nel suo ruolo – “chi sta sopra e chi sotta” come dice la canzoncina di Arbore, chi piscia e chi getta il sangue – ognuno ha imparato a fare le due cose insieme che sono un po’ come quel verso di Dante “parlare e lagrimar vedrai insieme”.
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Apprezzo il divertissement e le acrobazie letterarie, però non sono d’accordo con lo spirito di fondo, ovvero il voler considerare certe questioni come peculiari di Benevento quando, spesso e volentieri, si manifestano uniformemente lungo tutto lo Stivale.
Dalle nostre parti, quando ci si vuole dare un tono, si usa prendere le distanze dal microcosmo beneventano ricorrendo alla parolina magica: “provincialismo”. Ma non sarà altresì “provinciale” il voler individuare segni di “provincialismo” anche dove quest’ultimo non c’entra niente? D’accordo, a Benevento si piscia nei vicoli e c’è uno spoil system da paura.
Tuttavia, per il beneventano “non provinciale”, se questi fenomeni si verificano a Benevento sono segni di una realtà “provinciale”, se succedono a Roma (e succedono, mi creda) no. E io proprio in questo atteggiamento riscontro il vero provincialismo.