(Sanniopress) – L’invettiva di Simone Aversano contro i beneventani è frutto dell’amore per Benevento. Chi ama la propria città – stavo per scrivere la patria – non le risparmia critiche, mentre chi è indifferente ai destini della sua città la magnifica. E’ una storia antica che si rinnova, che vale per Benevento e i beneventani, per Firenze e i fiorentini, per l’Italia e gli italiani prima di tutto e tutti. Indro Montanelli diceva che i veri interpreti di un Paese non sono i suoi esaltatori, ma i suoi detrattori e castigatori. Gli italiani migliori sono gli anti-italiani, da Dante a Prezzolini. Il “beneventese” non risparmia nulla ai “beneventani”: per i suoi ventitré anni i beneventani sono troppo accomodanti, indifferenti alla cosa pubblica, remissivi, servili per i tanti secoli di cattolicesimo controriformista ante litteram che gravano sulle loro spalle. Implacabile fino all’intolleranza. Tuttavia, ricordo a me stesso che negli ultimi tempi della sua vita un gran signore napoletano e un grandissimo scrittore come Domenico Rea indicò proprio Benevento come un luogo in cui si poteva ancora vivere degnamente.
Ciò che mi colpisce della recente storia moderna di Benevento è l’assenza di scrittori. Fateci caso. Cosa offre questa città all’Italia? Impiegati, avvocati, burocrati, professori, più di recente economisti e naturalmente politici. Questi ultimi in particolare sono uomini d’azione, ma nella maggioranza dei casi, soprattutto nell’ultima generazione, l’azione si perde nella vuota retorica che non fa che compiacere sterili rivalse e ingiustificate rivendicazioni. A Benevento, più della politica, può far bene la letteratura. Ma il “genere” non sembra attecchire in città. Il maggior premio letterario italiano porta il nome dell’impresa Alberti – lo Strega – ma se scorriamo i titoli dei tanti libri di oltre mezzo secolo di storia letteraria italiana non vi scorgiamo un solo scrittore beneventano. Dai circoli intellettuali e dalle redazioni dei giornali non è mai venuto fuori un libro sulla città che abbia fatto discutere la città. Napoli, naturalmente, ha i suoi scrittori e non sto qui neanche a ricordarli, ma anche Caserta negli ultimi tempi ha dato qualcosa di buono al mondo per la discussione e la propria conoscenza, anche Avellino o, meglio, la cugina Irpinia con quel “paesologo” di Franco Arminio dà il suo contributo, e infine anche Salerno ha i suoi poeti. Solo da Benevento non viene fuori nulla. Perché?
Uno scrittore non si costruisce a tavolino. Almeno, non si costruisce a tavolino lo scrittore che qui s’intende: quello che “dice qualcosa” che c’è nell’aria e che aspetta proprio qualcuno che lo sappia dire. Per rubare un titolo a Guido Morselli, Benevento è una città senza papa che non ha mai fatto i conti con la perdita di quel mondo antico e in cuor suo nutre una nostalgia per un mondo beatamente isolato dal mondo che non solo non c’è più, ma non è mai stato beato perché nessun mondo lo è. I beneventani si cullano in questa inconscia nostalgia per la tranquillità perduta, mentre i beneventesi smaniano per liberarsene ma davanti a sé non hanno che due strade: andar via e fare e essere altro o restare a Benevento e diventare beneventani. Da qualche parte in questa città ci dovrà pur essere un cuore capace di raccontare questa storia con caratteri moderni e senza metterci troppo cervello. “Vale la pena vivere a Benevento”, come diceva Rea ma avremmo bisogno di uno straccio di letteratura per provare a dare alla città un modo diverso di raccontarsi perché il solo racconto politico ci incattivisce e smarrisce.