(Sanniopress) – Per la settimana prossima il movimento studentesco annunzia una mobilitazione generale con sit-in e una manifestazione, credo, prevista per sabato. Nei giorni scorsi ci sono stati alcuni tentativi di occupazione, per lo più senza esito, tranne al “Marco Polo”, con la devastazione dell’istituto nell’arco di una sola mattinata e ingenti danni economici. Il “Giannone” e il “Rummo” hanno, invece, concordato una settimana di autogestione da tenersi nella settimana precedente le vacanze natalizie.
Lo scorso anno guardai con molta simpatia e partecipai attivamente alla prima settimana di occupazione al “Rummo”, con puntate anche al “Giannone” e al “Guacci”. Lasciai delle tracce scritte. Quando percepimmo, insieme ad altri colleghi, che la situazione stava sfuggendo di mano agli occupanti, li invitammo a chiudere l’esperienza e a cercare nuove forme di mobilitazione. Non fummo ascoltati. Il “Rummo”, come molti ricorderanno, fu vandalizzato, probabilmente da elementi estranei alla scuola, con gli occupanti impotenti spettatori del sacco.
L’episodio del “Marco Polo” e le insistenti voci di nuove occupazioni mi spingono ad una serie di considerazioni, che cercherò di schematizzare, con una serie di domande al movimento studentesco.
1) Qual è lo scopo dell’occupazione delle scuole? A mio avviso stiamo vivendo una fase in cui, a differenza dello scorso anno, questa forma di protesta appare insensata, non essendo ancora chiaro quale sarà la politica scolastica del governo appena insediatosi. Profumo non è, Deo gratias,la Gelmini!
2) L’occupazione è perorata da due componenti molto diverse del mondo studentesco: quella anarchica che, grazie all’ottima organizzazione, è capace spesso, malgrado la scarsa consistenza numerica, di egemonizzare il movimento studentesco, e la massa “grigia” degli studenti che vedono nell’occupazione o un semplice momento di socializzazione alternativa o, semplicemente, l’ottimo pretesto per rimanere a casa. A mio avviso, dietro la richiesta crescente in questi giorni di “occupare” ci sono, dunque, due diverse motivazioni: una, assolutamente non condivisibile da me, anarchica, per cui esistono solo strategie di “negazione” dell’esistente, l’altra che potrei definire (nobilmente) “nichilista”.
3) Lo scorso anno all’interno del movimento si distinse una componente, che vorrei definire “riformista”, che partecipò, al “Rummo”, alla prima parte dell’occupazione, connotandosi sia per la volontà di dialogo con le altre componenti della scuola (docenti in primis) sia per il dinamismo propositivo, che portò ad organizzare interessanti momenti di riflessione e discussione. Questa componente, presente anche al “Giannone”, lavorava per la creazione di spazi di partecipazione attiva degli studenti nella vita scolastica, non come momenti straordinari ma come momenti ordinari. Questa via fu frustrata dalla conclusione devastante dell’esperienza. La componente “riformista” appare ai miei occhi l’unica dotata di proposte concrete e realmente motivata alla trasformazione della scuola “dall’interno”. Le loro proposte (di momenti di cogestione, di momenti di socializzazione al di fuori della scuola: per la costruzione di una consapevolezza civica e politica) mi sembrano molto mature e realmente efficaci. Si tratterebbe di innestare nell’ordinario della scuola lo straordinario di ore e giorni di vera “educazione civica”, vissuta dialogicamente, anche, ma non necessariamente, col supporto dei docenti di buona volontà o di esponenti della società civile beneventana.
4) Il nostro tempo sta vivendo un profondo rivolgimento che senza timore potremmo definire “apocalittico”, dunque rivelativo. Mi chiedo che senso abbia riproporre parole d’ordine fruste, modelli di azione novecenteschi. Ciò che urge è trovare risposte e pratiche all’altezza del proprio tempo. Quello che come docente mi lascia sempre stupito è, letteralmente, l’ignoranza “politica” e civica della stragrande maggioranza dei miei studenti, molti dei quali poi ritrovo ad urlare slogan durante i cortei. Occupazioni e cortei possono essere e saranno strumenti ancora utili alle battaglie per la trasformazione della società e, in essa, della scuola, ma non possono e non debbono essere gli unici. Il lavoro più complesso è quello di “educazione” della massa dei giovani studenti. E questo può accadere solo se, all’interno di un iter formativo rigoroso, si riescono ad inserire momenti ordinari di discussione, approfondimento, lettura e scrittura mirati a comprendere il proprio tempo, la propria realtà politica (globale, nazionale e locale).
Per tutti questi motivi mi schiererò risolutamente con quella componente “riformista” del movimento studentesco che si sta battendo in questo senso, e condanno sin da ora (soprattutto dopo l’orribile esperienza del “Marco Polo”) qualunque tentativo di occupazione che si dovesse decidere nelle prossime settimane, strategia senza serie motivazioni e destinata a fallire con conseguenze penose per tutti. Ai ragazzi dico: siate folli, inventate cose nuove. Il risultato delle vostre azioni poco pensate potrebbe essere quello di chiudere qualunque spazio di discussione con le altri componenti della scuola e qualunque concreto elementi di crescita autonoma nella scuola.
soltanto un professore svagato può credere che vi siano dei motivi ideali alla base dell’occupazione delle scuole
Siamo stanchi , noi del collettivo autonomo studentesco, fino ad ora non abbiamo proposto nessuna occupazione, anzi siamo contrari perchè non c’è motivo per attuare una forma di protesta così radicale , chiediamo a voi di non far uscire comunicati che ripetono sempre la stessa cosa , chiediamo a voi di non infangare il nome degli altri istituti superiori ( ad esempio il liceo G.Guacci ha l’autogestione dal 15 al 21 , e sia chiaro che non ha tentato di occupare , ma è stato fatto un semplice sciopero bianco d’istituto ) ….
e ci tengo a precisare che il collettivo non ha gerarchie , non ha un promotore , ma siamo noi studenti a decidere , a lanciare manifestazioni e ad impegnarci affinchè possa cambiare qualcosa nella nostra piccola realtà beneventana, siamo gente che ci crede in ciò che fa e che non si fa plagiare la menti da nessuno , non come persone che qualche anno fa erano “comunisti” ed ora ci vengono a parlare di Nazionalismo Dannunziano ….. chiediamo a voi di venirvi a fare un giro alle nostre assemblee in modo da poter vedere l’attivismo , l’impegno , il sacrificio che ogni singolo individuo fa per portare un contenuto all’interno di un liceo o anche di un professionale ….
“Se cercate un colpevole… non c’è che da guardarsi allo specchio!”
Premesso che: riteniamo l’occupazione un formidabile strumento, non tanto per “protestare” – in quanto è chi mendica diritti che normalmente si lamenta – ma per la sospensione della normalità capitalista che permetta ai giovani, normalmente troppo indaffarati a stare dietro ai ritmi della scuola/fabbrica o della socialità mercificata e della movida, di confrontarsi in maniera differente, di assumersi responsabilità individuali e di formarsi politicamente, proseguiamo. Giovedì 24 novembre gli studenti dell’Istituto Scolastico “Marco Polo” decidono di “occupare” la struttura. Sono talmente “tanti e determinati” che alla sera restano in 6 o 7 a dover “fronteggiare” gli avvoltoi che si precipitano sulla carogna. Naturalmente i giornalacci borghesi si accaniscono. I riformisti e gli autoritari locali si giustificano… Ma di che ci si meraviglia? Ci è risultato impossibile non porci delle domande: 1 – Perché le assemblee e i momenti di confronto politico che dovrebbero essere partecipati e di ampio respiro, vengono organizzati su Facebook o in stile carbonaro? Perché per di più queste assemblee composte di “delegati” o “rappresentanti” (peggio se d’istituto) prendono decisioni che non valgono per loro ma per “le masse studentesche”? Eppure ogni volta gli stessi parlano di autorganizzazione! 2 – Perchè il Collettivo Autonomo Studentesco, esprime solidarietà al Preside d’istituto!? Perché, pur sapendo del qualunquismo dilagante, spinge alcuni giovani a pratiche di cui non sono capaci e che soprattutto non riescono a far proprie? Perché, il CAS, una volta preso atto del fatto che gli studenti del Marco Polo – gli unici ad essere coerenti con le decisioni prese all’assemblea tenutasi il giorno prima alla “spiaggetta” di via Calandra – avevano occupato la propria scuola, e riconoscendoli come “qualunquisti”, non è andato li per riempire di contenuti quella “sorta di prescrizione medica”? Ma soprattutto perché l’assemblea pomeridiana che si doveva tenere nella scuola occupata è stata spostata all’interno del L@P – Asilo 31? Non poteva forse essere quella l’occasione per scalfire finalmente il qualunquismo? 3 – I perbenisti adesso gridano allo scandalo e vogliono che siano gli “occupanti” a dover pagare i danni (qualche finestra rotta, qualche porta dei laboratori divelta e la scomparsa di una certa quantità di computer) provocati da esterni, in quanto “gli studenti, occupando, hanno deciso di prendere in consegna la scuola e quindi di custodirla”. La cosa ci costringe naturalmente ad una riflessione sulla questione della violenza e del suo utilizzo. L’occupazione scolastica è un atto che prevede l’interruzione delle attività didattiche ed amministrative, ed è di per se un atto illegale. Normalmente il preside fa regolare denuncia alle forze dell’ordine, che dovrebbero provvedere allo sgombero. E’ proprio per difendere l’occupazione dallo sgombero violento di polizia e carabinieri, che ci si dota delle barricate, che normalmente non vengono erette per puro spirito estetico ma appunto perché svolgano la loro funzione; resistere! Nel nostro contesto territoriale si insinua però una peculiarità tutta provinciale; le forze dell’ordine ci tengono che gli studenti “occupino” gli istituti scolastici. Sono coscienti del qualunquismo dilagante, dell’impreparazione politica dei giovani e del fatto che realmente la gran parte degli studenti “spalleggi” l’occupazione o qualsiasi agitazione solo per un determinato periodo di tempo fino a quando non giunga il momento di “rientrare nei i ranghi”. La Digos preferisce che gli studenti restino nelle scuole a gingillarsi purché non trattino di politica e non vengano a contatto con “pericolose” teorie rivoluzionarie o sovversive che li faccia uscire per le strade, occupandole, scontrandosi con la realtà, prendendo così coscienza di se stessi e della propria forza, e casomai mettendo la pulce nell’orecchio anche agli altri sfruttati attraverso la sospensione delle loro normali attività. Per di più, l’aborto di pratiche radicali, garantisce una criminalizzazione sicura, oltre che forme di pentitismo anche in chi se n’è reso protagonista, tanto da star sicuri, o quasi, che semplici “spiriti calienti” si terranno ben lontani dalle suddette pericolose teorie sovversive e che quindi non si trasformino in rivoluzionari. Tornando a noi, com’è possibile che 6 o 7 ragazzini, anche loro vittime dell’estetica e della spettacolarizzazione della violenza , muniti di passa montagna, in maniera rudimentale, abbiano scardinato le cancellate dal lato posteriore del “Marco Polo” per poi entrare nei laboratori e portar via i computer senza che nessuno dall’interno della scuola facesse nulla? Ciò è stato possibile solo ed esclusivamente perché gli studenti non sono stati in grado, per mancanza di volontà, e non di mezzi, di reagire, perchè così come gli altri individui all’interno della società sono stati abituati (o costretti a farlo) a delegare il diritto di difendersi allo Stato ed ai suoi picchiatori. E anche qui ci viene da chiederci, è normale che studenti non politicizzati possano non porsi il problema di dover difendere una struttura “occupata” dalla polizia, così come da una banda di giovani proletari allo sbaraglio? Perchè le realtà antagoniste non hanno pensato se non di partecipare attivamente all’occupazione, almeno a fare in modo di difenderla scongiurando simili episodi? 4 – Noi non siamo contrari all’esproprio, anzi! Riteniamo che le parole d’ordine di “non paghiamo noi la crisi” possano concretizzarsi solo ed esclusivamente allungando le mani, con la riappropriazione per quanto illegale possa essere, di quello che ci viene tolto ogni giorno. Ma l’aspetto che ci affascina dell’esproprio, è quello della messa in discussione della proprietà privata e quindi dei meccanismi economici, politici e sociali che le stanno dietro, è la possibilità di socializzare e condividere ciò di cui ci si re-impossessa, di renderlo pubblico. Chi ha purtroppo preso i computer del “Marco Polo” è sicuramente uno sfruttato all’interno di questa società che ha però attuato una pratica che non fa altro che emulare i grandi meccanismi di accumulazione del capitale (ci giunge voce che i computer sottratti li stiano vendendo in giro per la città). Noi non li condanniamo in quanto è la società che li rende così, e che li spinge alla guerra tra poveri e all’individualismo da piccolo capitalista, al “rubare le caramelle ai bambini” piuttosto che riprendersi la vita che politici, finanzieri ed industriali gli e ci rubano tutti i giorni. E il discorso potrebbe continuare… Cerchiamo complici e non attendenti. Vogliamo protagonisti e non spettatori. Crediamo nell’azione diretta e non nella delega. Vogliamo Vivere!
Collettivo Studentesco Anarchico “Agitazione”