(Sanniopress) – L’articolo di Giancristiano Desiderio sulla chiusura della tipografia “Il Chiostro” dopo trent’anni di onorata carriera (anche editoriale), com’era prevedibile, ha generato un vivace dibattito, soprattutto sui social network.
Sulla pagina Facebook di Sanniopress, ad esempio, Daniele Ascione scrive: “Ma nell’articolo ci si è chiesti del motivo per cui si è arrivato allo sfratto prima di muovere accuse diffamatorie!”. Giovanni Montefusco (che cura gli interessi legali della Curia), a sua volta, aggiunge: “Evidentemente no. Chi scrive dovrebbe informarsi prima sulle motivazioni e non sparare a vuoto. Perché non dire la verità? Credo che un pò di accortezza e disponibilità ed anche senso del rispetto dell’altrui proprietà avrebbe dovuto averla chi si è messo in simili condizioni che hanno, dopo anni di attesa, condotto ad una azione forte tesa a ristabilire i patti contrattuali. Occorrono i fatti e non le vuote parole…”.
Ad intervenire è poi, Maurizio Sperandeo (che mi pare svolga la funzione di economo della Curia): “Davvero dispiace dover leggere “notizie” che nella mente di chi le scrive assurgono a fatti di cronaca. Nella deontologia professionale del giornalista sicuramente è contemplato il dovere di verificare gli elementi che costituiscono la notizia, gli antefatti, le persone in gioco, i termini della questione. Niente di tutto questo traspare dall’editoriale di G. Desiderio. Forse si deve pensare che sia di parte, visto che tre suoi libri sono stati stampati da “Il Chiostro”? Se fosse così avrebbe fatto meglio ad avvertire i suoi lettori. Avrebbero risparmiato tempo prezioso. Aspetto di avere riconosciuto il diritto di replica”.
Come vede, signor Sperandeo, il diritto di replica le viene riconosciuto, così come è stato offerto in passato anche a politici che risentiti hanno manifestato il proprio dissenso rispetto a qualche nostro scritto.
Sanniopress non è un sito di informazione, pur essendo promosso da giornalisti. E’ un blog, a volte anche provocatorio ed irriverente, che punta però ad animare il dibattito in una provincia troppo sonnacchiosa. Per questo è fortemente orientato ai social network, che favoriscono la partecipazione attiva dei visitatori. Ben vengano, dunque, i contributi portati da lei, Giovanni Montefusco e Daniele Ascione, che rendono più ricco ed articolato il dibattito.
Mi consenta, però, un piccolo rilievo: il fatto che “Il Chiostro” abbia pubblicato alcuni libri di Giancristiano è facilmente riscontrabile sia attraverso una ricerca su Google che nel suo sito personale (giancristianodesiderio.wordpress.com), di cui è presente il link nella presentazione degli animatori del sito Sanniopress.
La sua rappresentazione, invece, potrebbe indurre a pensare che Giancristiano abbia in qualche modo nascosto questo particolare. Perché avrebbe dovuto farlo se la sua partecipazione emotiva all’evento nasce dalla frequentazione e conoscenza che si instaura proprio nelle fasi di realizzazione di un libro? Quel mistico coinvolgimento, insomma, che accompagna il miracoloso (ormai) parto di un prodotto editoriale, fatto di odori indecifrabili e rumori meccanici di sottofondo.
Quella di Giancristiano non può, quindi, che essere una rappresentazione di parte e persino “faziosa” degli eventi, soprattutto in un contesto, come quello del centro storico di Benevento, che in pochi mesi fa registrare prima la chiusura della libreria Fiorentino e poi quella della tipografia “Il Chiostro”.
Aldilà della rappresentazione dei fatti (e lei fa bene a rivendicare il diritto ad esprimere un diverso punto di vista), e delle eventuali colpe gestionali dei protagonisti, resta il dato amaro ed incontrovertibile che il centro storico di Benevento perde due preziosi avamposti culturali proprio nel momento in cui, grazie al riconoscimento Unesco, dovrebbe sempre più caratterizzarsi come città di cultura. E’ questo, in fondo, il vero dramma.
Caro Billy, l’intervento non era mirato ad attaccare nessuno, ma nessuno avrebbe dovuto attaccare chi, al contrario, si è mostrato molto disponibile nei confronti dell’ “avamposto culturale”. Forse il vero dramma è quello di aver perso il senso della legalità e del rispetto delle regole della vita sociale. Basta con il buonismo spicciolo che porta, quale unico risultato, il sovvertimento delle norme, con le pessime conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Mi piace il Tuo modo di romanzare la vicenda, che invece è, credimi, molto più prosaica e di basso spessore, fatta di grande attenzione da un lato (questo) e violenza, verbale e (quasi) fisica, dall’altra.
Torniamo a far rispettare le regole del gioco della società civile: Pacta sunt servanda!
Chissà: forse dovremmo tutti, io per primo, imparare a metterci nei panni di chi subisce un torto prima di aprire la bocca.
Non è buonismo, credimi. Comprendo lo stato d’animo di chi lamenta un’inadempienza contrattuale. Non ho motivo, conoscendoti e stimandoti, per mettere in dubbio le tue affermazioni. Ma resta il rammarico per un avamposto che chiude, soprattutto se le difficoltà sono da ricondurre ad un mercato che non consente di sopravvivere a chi produce cultura. Non è solo una tipografia che chiude ma è soprattutto la casa editrice che ha pubblicato il libro inchiesta sul Governatore del Molise (recensito persino da Repubblica).E, comunque, concordo pienamente sul fatto che il rispetto della legalità sia un valore assoluto, da perseguire sempre e comunque
Sono d’accordo sulla ferocia di un mercato oramai mutato ed in continua mutazione, che stritola, letteralmente parlando, ogni piccola realtà (noi professionisti non ne siamo esclusi, se consideri gli attacchi degli ultimi tempi, che vedono i grandi poteri anche multinazionali aggredire le libere professioni), ma, vedi, nel caso di specie la Arcidiocesi ha avuto, come sempre fa, grande, grandissima attenzione nei confronti del suo inquilino, ponendosi al suo fianco per oltre trenta mesi e ricevendo, di contro, solo calci di ingratitudine. é proprio vero: non fare del bene se non sei preparato al male che ne riceverai. il mio disappunto, però, è verso chi pone in prima pagina fatti e personaggi senza riscontrarne la veridicità e senza ascoltare l’altra campana: in tal modo non si rende un buon servigio né alla pubblica opinione, né a chi si immagina di voler difendere, perché si costringe la controparte, improvvidamente chiamata in causa, a denunciare pubblicamente le motivazioni che l’hanno spinta a simile iniziativa, con evidente discredito per chi l’ha subita. non si spara nel mucchio!