di Melania Petriello
(Sanniopress) – Ne faccio una questione etica: non basta solidarizzare. Infinito blasonato, questo proprio della solidarietà, e declinato alla meno peggio anche da chi non ne comprende la pienezza di senso.
Danila De Lucia ha la colpa di “fare” giornalismo. E di farlo in una provincia all’ombra di certe stucchevoli attenzioni mediatiche. A tanto, si aggiunge l’indifferenza verso quella ambiziosa compravendita al ribasso che sia chiama compromesso. Ultima colpa, quella di essere “ordinariamente” dignitosa. Ecco perchè si arrende, da oltre settecento giorni, alla persecuzione di un uomo che, al netto degli eufemismi, le ha tolto libertà. Liberta di alzare la cornetta del telefono, di “chiudere” il suo giornale dopo le ventuno, di raccontare alle sue figlie che viviamo dietro la cortina di ferro della giustizia applicata. Libertà piccole? No, libertà necessarie. Necessarie a dire, convintamene, che se qualcuno delinque non resta impunito. Meno di quarantotto ore fa, è stata confermata l’archiviazione del caso, con la motivazione della insufficienza di elementi necessari al prosieguo delle indagini.
Il mio pensiero diventa bicromatico: la luce dei colleghi che vivono con la garanzia alla protezione, da un lato, e il buio di tanti altri che restano ai margini delle necessità elementari, dall’altro.
Danila De Lucia appartiene alla seconda categoria. Ed è in buona compagnia.
La legge antistalking, che ha finalmente colmato una vergognosa lacuna giuridica per decenni accondiscesa, sembra, in questo caso, non essere sufficiente. Se non conosci l’identità dell’uomo nero, potrebbe addirittura rivelarsi inutile. Abbiamo creduto che qualcuno ci aiutasse ad uscire dall’empasse dell’anonima colpevolezza e, ancora una volta, ne siamo usciti sconfitti.
Sono figlia dell’insegnamento di Danila de Lucia, che resta il Direttore di una consapevolezza generazionale e valoriale nata nell’utero di “Messaggio d’Oggi”.
Ma non è per questo che non mi arrendo. Non concederò la resa perché domani potrei finirci sotto io. Fiaccata dall’inefficienza “istituzionale”, disillusa, scoraggiata.
E sono disposta ad urlarlo in tutte le sedi purchè non si ritorni al pressappochismo originario con cui si bollano le disavventure, peggio le disgrazie, degli “altri”.
In più, pago le tasse ad un Ordine che vorrei si sforzasse, ogni tanto, di tutelarmi. Tutto il resto è demagogia: chi sta zitto ora, si aspetti lo stesso silenzio sempre. Al di fuori di ogni ragionevole deontologia, ci metto meno cervello e un po’ più di cuore.