di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Mentre a Napoli ci si picchia, a Milano si studia. Mentre la gioventù universitaria della Federico II si attarda in cortei, volantinaggi e occupazioni degli anni Settanta, gli studenti della Bocconi hanno alloggi adeguati, frequentano i corsi e sostengono esami. Non vogliamo riproporre il solito cliché delle due Italie, del Nord avanzato e del Sud arretrato. Vogliamo, alla luce degli ennesimi scontri tra Casa Pound e Collettivi, porre una banale domanda: perché una famiglia di Benevento o di Avellino dovrebbe anche solo lontanamente pensare di iscrivere i propri figli all’università di Napoli? Perché i giovani del Cilento o della Lucania dovrebbero pensare al proprio futuro trasferendosi nella odierna Napoli degli anni Settanta?
Giorgio Bocca, dall’alto della sua veneranda età, ha detto cose sgradevoli su Napoli e i napoletani. Tuttavia, i giudizi di Bocca passano, mentre la realtà resta ed è, di fatto, più sgradevole dei giudizi del giornalista piemontese. In questi giorni si è discusso intorno al tema “se Steve Jobs fosse nato a Napoli avrebbe avuto l’opportunità di realizzare la Apple?”. E si è risposto che Napoli non è una città per geni ma per garagisti. Tutto molto vero. Ma le famiglie napoletane, come quelle del “resto della Campania”, sanno bene di non avere dei geni alla Steve Jobs ma dei ragazzi normali a cui vorrebbero offrire un percorso di studi e vita più o meno normale. Il problema napoletano non è la individuale genialità, che in fondo non è mai mancata, ma la generale normalità che è assente da troppo tempo.
La facoltà di Lettere è occupata dai collettivi di sinistra – i rossi – per preparare la manifestazione del 15 ottobre contro il precariato. Quelli di Casa Pound – i neri – si fanno vedere dalle parti dell’accademia e alla fine rossi e neri vengono alle mani. L’occupazione dell’università e la impraticabilità delle strade e delle piazze sono l’immagine di una città occupata da culture tanto vecchie quanto speculari che non fanno fare passi avanti né all’accademia né alla città. Il garagismo napoletano nasce, purtroppo, proprio nei luoghi del sapere moderno e qui, all’università, non sono i professori ad essere antiquati, ma gli studenti.
A Napoli è assente – in una sola parola – la modernità. Se il sapere moderno, veicolato anche dalle università, è pubblico, controllabile, falsificabile, cumulativo, la cultura rosso-nera che sequestra la città è incontrollabile, assoluta, inverificabile – in una sola parola – ideologica. La città si auto-isola e non è più da tempo un punto di approdo e miglioramento per la Campania e il Mezzogiorno. La cultura ideologica non la proietta nel futuro ma nel passato e la inattualità napoletana condanna i napoletani ad oscillare tra i due estremi della genialità estemporanea e del garagismo generalizzato. Il fenomeno è visibile anche nella politica che è sempre alla ricerca di espedienti che possano rilanciare l’immagine di Napoli mentre la realtà è senza rilancio e senza slancio. L’affannosa conquista di un posto al sole per Bagnoli con l’America’s Cup è emblematica, come del resto lo è la triste vicenda della spazzatura in cui il rifiuto della modernità è praticato e teorizzato. Nessuno è così folle e così affamato da mandare i propri figli in una città antimoderna del passato come Napoli.