di Billy Nuzzolillo
(Sanniopress) – L’intervento di Giancristiano Desiderio a proposito dell’amletico dubbio riproposto ieri a Matera su chi sia stato il più forte giocatore di tutti i tempi (Maradona o Pelè?), mi offre lo spunto (da tifoso orgogliosamente azzurro) per una riflessione sul numero 10 del Napoli per eccellenza.
L’amico Giancristiano sostiene, infatti, che il migliore è stato O Rey, spiegando che “il buon calciatore, soprattutto il più bravo, non può neanche lontanamente immaginare di essere il padrone del gioco, altrimenti verrebbe meno la sua possibilità di giocare, e può solo desiderarlo”.
E Maradona, in fondo, il padrone del gioco non lo fu mai: come ricorda Wikipedia, “nella prima stagione (1984) le aspettative furono in grande parte disattese. Mal supportato da una squadra di mediocre valore Maradona dimostrò quasi esclusivamente le proprie doti di funambolo, ma il suo contributo non poté essere utile per raggiungere grandi traguardi. Il Napoli disputò un brutto girone di andata e solo nel finale riuscì a raggiungere una tranquilla posizione di centro classifica”.
Il Napoli di Maradona vinse il suo primo scudetto solo nel campionato 1986/87 (allenatore Ottavio Bianchi) e nella stagione 1987/88 il Napoli partecipò per la prima volta alla Coppa dei Campioni, ma uno sfortunato sorteggio mise contro gli azzurri il Real Madrid: i partenopei uscirono battuti dal Bernabeu per 2-0 e pareggiarono per 1-1 la gara di ritorno, abbandonando subito le ambizioni europee.
In campionato, inoltre, il Napoli dominò fino alla ventesima giornata mantenendo cinque punti di vantaggio sulla seconda, ma inaspettatamente gli azzurri crollarono facendosi superare dal Milan di Sacchi (e Berlusconi) e perdendo quattro delle ultime cinque partite.
Nel 1989 il Napoli concluse il campionato ancora al secondo posto, dietro l’Inter dei record, ma vinse la Coppa UEFA, per poi riconquistare lo scudetto nella successiva stagione 1989/90. Ma in quello stesso anno era, in realtà, iniziato il lento declino dell’esperienza italiana di Maratona, che finì definitivamente il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping effettuato al termine della partita di campionato Napoli-Bari, che diede il responso di positività alla cocaina.
Ora, è vero – come sostiene Giancristiano – che “per poter giocare devo saper controllare la palla, ma il controllo non è finalizzato a se stesso, bensì al gioco che esige che la palla sia giocata ossia abbandonata”. Ma è altrettanto vero che il calcio è anche – per stare sempre a quanto afferma Giancristiano – “un modello cognitivo che con la sua connaturata idea di pluralità dà scacco matto al fenomeno politico più drammatico della Modernità: il totalitarismo”.
Purtroppo, il Pibe de Oro non fu mai “il padrone del gioco”, e nemmeno seppe scardinare la dittatura delle squadre del Nord: ciò che vinse a Napoli è, infatti, ben poca cosa rispetto a ciò che avrebbe potuto vincere.
Ora, caro Giancristiano, partendo proprio dal tuo assuntoi che “il gioco è cosa seria e chi non lo prende sul serio è un guastafeste”, non posso che giungere ad una conclusione opposta alla tua: il Pibe de Oro è stato il più grande perché, oltre alla palla, abbandonava anche i principi più elementari della la logica, preferendo indulgere nella visione edonistica del filosofo Epicureo: “Nessun piacere è un male in assoluto; ma alcune fonti del piacere procurano spesso più male che bene”.
E per questo dico che il più grande è stato Diego.