(Sanniopress) – Vengo richiamato piacevolmente dalla gustosa discussione in atto tra le firme di Sanniopress in merito a chi sia il più grande di tutti nella storia del calcio, e mi decido a dare anch’io il mio piccolo contributo cercando di offrire un punto di vista che individui i punti in comune tra le riflessioni di Grancristiano Desiderio, Billy Nuzzolillo e Antonio Tretola e disegni l’ossatura indefettibile di cosa sia il calcio. Dal chi (è il più forte) al cosa (sia il calcio), dunque, atteso che a parlare dei migliori, in ogni campo, si finisce inevitabilmente per parlare anche di assoluti oggettivi e di ciò che i migliori stessi riescono a rappresentare nella loro unicità.
Il caso vuole che la mia riflessione si incardini proprio su di una battuta scambiata qualche tempo fa con l’amico Antonio Tretola, quando entrambi gioiosamente convenimmo (oltrepassando facilmente l’ostacolo dato dall’essere io juventino e lui milanista) che “il calcio è la patria della meritocrazia”. Che siate tifosi di una squadra piuttosto che di un’altra, che passiate le vostre domeniche sugli spalti freddi e spogli di una serie dilettantistica oppure sulle poltrone da palcoscenico della Serie A, ognuno di voi, riflettendoci solo per un attimo, si accorgerà di quanto, effettivamente, non esiste (e non è mai esistito) il calcio senza il merito. Va avanti chi gioca bene, dato che da oltre un secolo lo scopo rimane quello di fare più gol dell’avversario. E dato anche che, in oltre un secolo, il gioco del calcio si è reso a tal punto complesso e raffinato, nell’atletica e nella tattica, che fare gol diventa oggi impresa assai ardua (o almeno così è nel campionato più bello del mondo, che è e resterà sempre quello italiano).
Ma ogni tesi, anche se priva di scopo e rilevanza scientifica, per non essere bollata come prima fesseria gettata al vento deve resistere ad ogni tentativo di falsificazione. E allora, come rispondere a chi osserva che il calcio è diventato un gioco di soldi e potere, dove tutto sommato vince chi può investire più denaro? Come giustificare le partite ad orari diversi, i posticipi, la spettacolarizzazione degli eventi sportivi? Come motivare i fallimenti e ripescaggi di tante squadre secondo logiche che prescindono del tutto da cosa avviene sul campo da gioco?
Senz’altro il calcio è oggi un gioco dove è importantissimo avere una consistente base economica. Senz’altro il calcio oggi vale forse di più per come viene rappresentato tramite la TV che come è nel suo essere reale e profondo (che spesso tendiamo a dimenticare). Senz’altro non sempre è vero che essere bravi nel calcio è tutto, visto che poi si rischia di retrocedere perchè il presidente ha sperperato milioni in attività extra e non ha più i soldi per iscrivere la squadra al campionato. Ma è anche vero che quando una squadra retrocede a tavolino i giocatori che “meritano” vengono acquistati da squadre più blasonate per poter continuare a giocare ai loro livelli (e la storia dell’unica retrocessione della Juventus parla da sè). E’ anche vero che la spettacolarizzazione aiuta grandemente a porre ogni gesto atletico sotto mille riflettori e sotto gli occhi di milioni di tifosi e appassionati, in grado di giudicare e valutare chi merita quel livello di gioco e chi no. E’ anche vero che per arrivare a guadagnare milioni di euro all’anno serve veramente a poco essere famosi, perchè famosi e ricchi ci si diventa solo se si gioca bene e ci si allena seriamente per tutti gli anni che la natura lo consente. Insomma, casi di fama immeritata (vedi molti tra gli ultimi attaccanti brasiliani, rimasti blasonati anche dopo esser diventati mediocri – Ronaldo e Adriano su tutti) sono veramente rari.
Ma pure tutte queste obiezioni, probabilmente, si collocano lontano dall’essenza del calcio. Che è qualcosa di estremamente semplice: impegnarsi al massimo sotto l’aspetto fisico e psichico per raggiungere, secondo il proprio ruolo messo in armonia con i ruoli dei compagni di squadra, l’obiettivo di fare gol e vincere. Con un solo correttivo: nel calcio, come nello sport in genere, non è indispensabile vincere per essere i migliori, “basta” giocare meglio degli altri.
Pelè, Maradona, Messi e i fenomeni di là da venire meritano senz’altro una menzione particolare perchè, con il loro essere straordinari (ed in maniere straordinariamente differenti tra loro) hanno forse consegnato alla storia l’assunto fondamentale secondo cui calcio e meritocrazia sono un binomio inscindibile. Quello che manca alla società in cui viviamo è “solo” la capacità di prendere le mosse dal calcio per riportare in vita, anche in tutti gli altri contesti, i meccanismi di funzionamento perfetto della meritocrazia calcistica. Dalla meritocrazia “rappresentata” alla meritocrazia applicata, insomma, il passo è ancora molto lungo.