di Maurizio Cerino
L’ordine arriva direttamente da Corleone: Salvatore Riina, “zu’ Totò” capo della commissione di Cosa Nostra, lo impone ai Nuvoletta: «Questo giornalista ha sbagliato pesante. E deve pagare».
Sì: in parole povere i passaggi sono proprio questi. Agghiacciante, è vero: ma è questa la “semplicità” con la quale mafia, camorra, ‘ndrangheta decretano la morte dei loro nemici.
Ma che cosa c’entra Riina con Nuvoletta, potreste controbattere? Un po’ di pazienza e capirete…[1]
È il 10 giugno 1985. Nelle edicole di Torre Annunziata le copie del Mattino finiscono prima ancora che scoccassero le 10. È lo scompiglio, specialmente negli ambienti criminali. Perché? Semplice: Valentino Gionta, signore e padrone della cittadina vesuviana, da appena 24 ore è rinchiuso in una cella del carcere di Poggioreale. I carabinieri lo hanno beccato a Marano, poco distante dalla villa di Lorenzo Nuvoletta, dove era rifugiato da quando era un ricercato. I suoi accoliti, i valentini[2], sono improvvisamente senza il capo. Ma – e questo li preoccupa di più – si sentono “venduti”, traditi. In una casa di Palazzo Fienga, il feudo del clan, sono attorno a un tavolo i capi del direttivo della cosca: ciascuno con la sua copia di giornale .«L’arresto di Valentino Gionta sarebbe stato il prezzo pagato da Lorenzo Nuvoletta per “calmare” Antonio Bardellino»: c’è scritto in pratica questo. Firmato Giancarlo Siani. Un nome che per loro, paradossalmente, in quel caso è garanzia di veridicità. A Torre Annunziata lo conoscono fin troppo bene: da quattro anni corrispondente del maggior quotidiano del Mezzogiorno, ed è sempre bene informato. I camorristi lo hanno provato sulla loro pelle. Quindi se ha pubblicato quelle cose significa che sono vere. Quell’articolo ha avuto le stesse conseguenze di una tempesta.
Nello stesso momento c’è altra gente che si preoccupa, e molto, per questo articolo. In una dependance, nella zona di Poggio Vallesana, a Marano, comune in pratica tutt’uno con Napoli, ci sono quattro-cinque persone attorno a un tavolo. Sono i fratelli Angelo e Lorenzo Nuvoletta e i loro più fidati collaboratori. Tutti loro con il giornale tra le mani. Urla e imprecazioni contro il giornalista sono praticamente l’unico argomento. Il timore è forte: negli affari di camorra si potrebbero creare disordini, fino ad arrivare ad una sorta di ammutinamento. La tesi è una: i giontiani, che dopo aver letto quell’articolo ritengono di aver subito una infamità, potrebbero pensare a una vendetta. Il giornalista è stato chiaro: da Marano è partita la soffiata ai carabinieri per arrestare il boss Gionta latitante. E questo, mel codice d’onore mafioso, è la peggiore delle cose: venir meno all’onore, al giuramento. Cosa nostra, ma tutte le organizzazioni criminali su questo non transigono: si paga con la morte. Che tradotto nel linguaggio loro significa insorgere contro Lorenzo Nuvoletta, uomo d’onore e rappresentante in Campania delle famiglie mafiose dei corleonesi, nelle cui mani hanno prestato il giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. In pratica significherebbe opporsi a Totò Riina che nell’85 è già il capo dei capi della mafia. Ma per far questo i giontiani, decapitati del loro capo, potrebbero anche cercare nuove alleanze, bussare alla porta proprio di quel Bardellino, ma soprattutto dal suo amico Alfieri, divenuto fin troppo forte nell’area vesuviana, entrambi nemici giurati dei “maranesi”. Tutto ciò significherebbe guerra. Al di là del risultato finale una faida provocherebbe il blocco totale delle attività economico-criminali dell’intera cosca mafiosa, con la conseguente perdita di diversi miliardi che non entrerebbero nelle tasche di Nuvoletta e soci, proprio nel momento in cui stanno per partire importanti appalti pubblici sia per la ricostruzione, sia per la riqualificazione del territorio.
Insomma una catastrofe incalcolabile per il gruppo Gionta-Nuvoletta: un sodalizio già “perdente”, come si vedrà, stretto da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso praticamente a 360 gradi. Lorenzo Nuvoletta, grazie alle alleanze con Valentino Gionta e Michele D’Alessandro, aveva creato l’oasi “Torre Annunziata-Castellammare”, peraltro con immensa fatica: eliminare tutti i cutoliani della Nco non era stata una passeggiata[3]. Perderla significherebbe rinunciare anche a due importanti porti, non soltanto per l’inserimento criminale in tutte le attività commerciali d’interscambio lecite, ma soprattutto per i contrabbandi di sigarette, prima, e di cocaina e armi, dopo.
Quindi, dopo la pubblicazione di quell’articolo su Il Mattino, è necessario far capire a tutti, ma in primo luogo ai manovali torresi del crimine, che le parole del cronista sono false e quindi sono state uno schiaffo sulla faccia di “don” Lorenzo ma soprattutto su quella di Riina: un’offesa all’onore mafioso.
Ma come fare per far giungere il messaggio a tutti? C’è un’unica maniera per fare chiarezza: utilizzare il linguaggio delle armi, l’unico chiaramente comprensibile in quegli ambienti. Si deve eliminare nel modo più eclatante e plateale possibile chi ha osato tanto, chi si è permesso di infangare l’onorabilità di due “uomini d’onore”. Una decisione dalla quale si comprendono le differenze di mentalità tra mafia e camorra. L’offesa all’onore criminale è la più grave per i siciliani: chi si permette di dubitare della lealtà viene fatto fuori. Ma a parte queste analisi criminologiche da trattati su «Mafia e Camorra», e non è questo il caso, resta una agghiacciante verità: Giancarlo Siani, un cronista onesto, è stato trucidato.
L’omicidio Siani, dunque, non è un «semplice» delitto di camorra. È molto di più: è un delitto di mafia. Voluto da Cosa Nostra che ne è stata regista ed artefice. Ci sono voluti dieci anni per capirlo. Una verità rivelata anche grazie ai pentiti: l’uccisione di Giancarlo Siani fu organizzata da Angelo Nuvoletta che doveva eseguire un ordine, non detto, non trasmesso ma comunque implicito, del padrino di Corleone, Salvatore Riina.
Svolte investigative clamorose e inimmaginabili che giungono con un inaspettato pentimento, quello del camorrista-mafioso Gabriele Donnarumma, cognato di Valentino Gionta . Nessuno, quindi, meglio di lui può conoscere i segreti del clan e rivelare, dunque, anche i particolari e soprattutto il movente dell’omicidio del cronista.
Decide di collaborare con la giustizia. Siamo a novembre 1994, un anno nero per la criminalità di Torre Annunziata. Donnarumma chiede un colloquio con il pm antimafia Armando D’Alterio :
«L’omicidio del giornalista fu decretato da Angelo Nuvoletta in una riunione che si svolse nella sua tenuta di Poggio Vallesana a Marano. Subito dopo Nuvoletta mi chiamò e mi disse che era stato deciso di uccidere Giancarlo Siani. L’eliminazione del cronista del Mattino l’aveva ordinata proprio Totò Riina, dopo la pubblicazione sul Mattino di un articolo sulla cattura di Valentino Gionta a Marano che lasciava intendere che gli stessi alleati lo avevano tradito. Nuvoletta mi disse che Riina si era sentito molto offeso dalle parole del giornalista che si era permesso di infangare il nome di “uomini d’onore” e che aveva osato additarli come traditori. Nuvoletta mi pregò di informare in carcere Valentino Gionta di tutto. Ed io feci così. Valentino fu molto sorpreso e spaventato della sentenza di morte emessa da Nuvoletta. Pensava che qualora avessero ammazzato Giancarlo Siani, la colpa dell’omicidio sarebbe ricaduta su di noi (il clan Gionta, N.d.A.). Tuttavia non si oppose al delitto. Mi affidò soltanto l’incarico di dire ai Nuvoletta che lui non aveva mai neanche lontanamente dubitato della loro lealtà.
«Così feci. Nuvoletta mi disse di andare. Da allora non seppi più nulla. La notizia dell’omicidio di Siani la lessi sui giornali. Andai subito a Marano da Nuvoletta. Mi accolse in una delle stanze della tenuta di Poggio Vallesana. Era in compagnia di Luigi Baccante, detto “Maurizio” Proprio allora entravano nella tenuta tre suoi uomini fidati, Ubaldo Scamperti (Balduccio ), Gaetano Orlando e Armando Del Core. Angelo Nuvoletta si girò verso di me e mi disse: “Congratulati con loro per il bel lavoro che hanno fatto”. Allora capii che quelli erano gli assassini di Giancarlo Siani. Da allora l’alleanza con Nuvoletta divenne ancora più solida».
«Congratulati con loro…» Questa è mentalità di queste persone: congratularsi, festeggiare per la morte di un uomo. Non c’è commento che regga.
Morire per un “pezzo” di cronaca, peraltro quello che in gergo giornalistico si chiama “il seguito”, cioè la cronaca degli sviluppi eventuali di un fatto accaduto uno o due giorni prima. È una prassi: la mattina ti chiama il cronista capo e ti dice: «Fammi una cinquantina di righe di seguito di…». Talvolta significa ripetere quasi tutto il fatto, fare una sorta di riassunto del giorno prima. Ma in altre occasioni il pezzo di “seguito” diventa più importante dell’avvenimento stesso: saltano fuori notizie di rilievo, nuove, trovi l’amico investigatore che ti dà la “dritta” giusta e tu, con l’esperienza e la conoscenza degli argomenti, fai il resto.
Giancarlo fece proprio così: uno del mestiere, un addetto ai lavori lo capisce leggendo quel “seguito”. Non è il classico pezzo “per riempire”: Giancarlo Siani ci lavora parecchio e bene. Ha una notizia buona. La verifica e trova le conferme del caso. Accanto al “fatto nuovo” c’è tutta l’esperienza di chi per quattro anni non ha fatto altro che riportare con fedeltà gli avvenimenti che hanno segnato lo sviluppo di quelle terre, senza perdere una battuta. E si finisce per conoscere tutto, si riescono a capire anche i più reconditi significati, addirittura interpretare quei particolari che ad altri sembrerebbero insignificanti.
Valentino Gionta è in carcere da 24 ore. Il Mattino, il giorno dopo pubblica il seguito dell’avvenimento. Il capo della cronaca lo affida a Giancarlo Siani: è il corrispondente da quella zona, l’unico in grado di offrire una “copertura” completa sulla vicenda. Leggiamolo questo articolo che «offende» Lorenzo Nuvoletta e in seguito al quale viene decretata la morte di Giancarlo Siani[4]:
” Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta . Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato. Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni. I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare». La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo . L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico. Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi. Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga. È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage.
Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio , boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino. Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino . Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan. Torre Annunziata diventa una zona che scotta. Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati. Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia». Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage. Ancora latitanti il fratello del boss, Ernesto Gionta, e il suocero, Pasquale Donnarumma”.
Giancarlo Siani
[1] Salvatore Riina è stato indagato nel procedimento relativo all’omicidio Siani: ma contro di lui il Pm non ha trovato riscontri tali da supportare un rinvio a giudizio e la posizione del boss è stata accantonata per “incongruenza di indizi di colpevolezza”. Secondo varie informative della polizia giudiziaria di Napoli (cfr ord. cust. caut. in carcere 5867/A Reg Gip/95, n. 326/95 Reg. Mis. Caut.) Riina avrebbe trascorso lunghi periodi della sua infinita latitanza nella tenuta dei fratelli Nuvoletta
[2] sono così definiti gli affiliati al clan di Valentino Gionta.
[3] La lotta al boss di Ottaviano ha comportato perdite anche nei clan Gionta e D’Alessandro: il prezzo della vittoria su Cutolo, in vite umane, è stato alto.
[4] cfr.: “IL MATTINO” 10 giugno 1985.
- Tratto da «Cronache da FortApàsch» di Maurizio Cerino (1996)ed. fuori commercio(proprietà letteraria e diritti dell’autore – riproduzione concessa senza scopo di lucro con l’obbligo di citare la fonte)