di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Il Pdl non è un partito di uomini coraggiosi. Magari oggi, sotto lo scudo del voto segreto, più di qualcuno voterà sì alla richiesta di Marco Milanese che un tempo era molto vicino al ministro Tremonti e oggi sembra contare più nemici che amici in seno alla maggioranza. Ma non saranno né il voto su Milanese né il suo destino di libertà o di arresto a fare della maggioranza una forza parlamentare e politica responsabile, forte e coraggiosa. In cuor loro e nelle confidenze che sarebbero pronti a rinnegare come fece Pietro prima del canto del gallo, i parlamentari del Pdl sanno e dicono che così non si può più andare avanti e il tempo di Silvio ormai si coniuga al passato; tuttavia, nessuno di loro è pronto a rendere pubblico questo pensiero. Hanno paura di mostrarsi liberi e forti proprio nel momento in cui non solo la politica ma – usiamo pure la parola giusta – la patria chiama e chiede scelte coraggiose. Ma il Pdl è il partito di don Abbondio.
E’ vero: come sapeva molto bene “il figlio della paura” – Thomas Hobbes – proprio la paura può essere formidabile motivo di unione. Il coraggio regala la libertà ma anche il rischio. La paura invece unisce perché confida nella sicurezza. Lì, nella pancia del Pdl, i parlamentari e le parlamentari del presidente del Consiglio si sentono al calduccio e al riparo. Il pensiero di sostituire il loro capo – del governo e del partito – lì rende tremebondi e pur di non tremare e farsi coraggio sono pronti a far tremare tutto il Paese. A poco o nulla serve la considerazione che la democrazia è nata proprio per cambiare i governanti con i voti dentro le istituzioni e senza passare attraverso grossi traumi. Niente, non c’è niente da fare: l’idea di svolgere semplicemente il loro compito di parlamentari senza vincolo di mandato per far funzionare le istituzioni liberali li terrorizza e li manda nel panico. Quanto avvenuto altrove – Inghilterra, Francia, Spagna – non è possibile in Italia che era una “democrazia bloccata” quando c’era il famoso fattore K e continua ad esserlo ora che il partito comunista è passato con il suo lungo secolo a miglior vita. E’ come se la democrazia italiana costruisse sempre e solo dei sistemi o dei blocchi di potere che non solo paralizzano il funzionamento delle istituzioni ma alla lunga pietrificano anche se stessi e si votano all’autodistruzione. Volgarmente si dice che il potere corrompe; in realtà, qui è il contrario: il governo ha corrotto il potere fino a renderlo impotente e inutile.
Già si conoscono le future mosse del presidente del Consiglio: tentativo di recuperare il dialogo con il ministro Tremonti e adottare un decreto per lo sviluppo; una serie di leggine per impedire che il processo Mills vada a sentenza; una disponibilità di maniera all’Udc per cambiare la legge elettorale e immaginare un’altra coalizione. Mentre, però, il capo del governo riunisce il cosiddetto “vertice di maggioranza” e spiega che il problema italiano non è la pessima amministrazione della crisi bensì le intercettazioni e i pettegolezzi, le agenzie di rating declassano l’Italia per questo motivo semplice e oggettivo: lo Stato italiano non è in grado di pagare i suoi debiti. Nel vertice di maggioranza, dunque, in camera caritatis e non alla Camera dei deputati, qualcuno avrà il coraggio di dirgli in faccia la verità? Oppure anche in quella circostanza prevarrà il consiglio di Gianni Letta che a chi pensava anche solo come ipotesi di scuola ad una “uscita di sicurezza” ha detto: “Per carità, siete pazzi! State fermi, sennò pensa che sia in atto un complotto”. La verità, cioè la necessaria esigenza che ha un buon governante di vedere in faccia la realtà e non nasconderla prima di tutto e soprattutto a se stesso, è vista come un “complotto”. E chi complotta – ormai lo sappiamo per esperienza – è destinato a soccombere dietro i colpi di un vero complotto e fiumi di dossier. La paura come arma di governo di una maggioranza che ha paura della sua ombra.
Il problema – come ormai è chiaro – non è il capo del governo ma il capo del partito. Il Pdl è solo una stampella parlamentare. Qualche giorno fa è stato proprio il segretario del Pdl, l’ex ministro Alfano, a dire che “dopo Berlusconi non toccherà a nessuno di noi”. Non è una condotta politica, è una dichiarazione di impotenza. Lo sanno tutti, in Italia e nel mondo, che il caso italiano è risolvibile in due minuti: il partito di maggioranza relativa sfiducia il premier o ne chiede le dimissioni e lo sostituisce con un altro premier e un nuovo governo. Tutto nella norma del dettato costituzionale e perfino senza alcun ribaltone. Ma il Pdl non è in grado di esercitare questo suo diritto-dovere. Il Pdl è il partito del potere inutile. E’ un partito che non sa cosa farsene del potere di cambiare governo e dare al Paese una speranza concreta in più per amministrare la crisi e tenere sotto controllo i mercati. Così gli italiani con un orecchio ascoltano cosa dicono e combinano i Pierini che hanno al governo e al “vertice di maggioranza” e con l’altro orecchio si rivolgono ad Angela Merkel da cui dipendono oggi più di ieri le sorti di questo pezzo di Europa mediterranea che siamo diventati nel centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.
Un colpo di scena, ecco cosa ci vorrebbe oggi alla Camera. Niente è più rivoluzionario della verità. Un deputato del Pdl, parlando alla nazione e rivolgendosi al governo, dovrebbe dire poche ma ferme parole sulla fine dell’era Berlusconi e la necessità di votare un altro esecutivo per dare efficaci risposte al mondo e agli italiani. Il coraggio della verità, non è impossibile. Coraggio.
(tratto dall’edizione odierna di “Liberal”)