di Antonio Tretola
(Sanniopress) – Abbiamo scherzato. Questo è il cartello che, a caratteri cubitali, campeggia su molti palazzi della politica che una volta si dicevano romani ( i palazzi) ed ora sono assai più alti ( nel senso solo dell’altitudine), tra vertici in canottiera, summit ad Arcore ed eleganti baite di provincia.
Il grandissimo poeta latino Ovidio per stroncare certi poemi inutilmente voluminosi e pubblicizzati ( già nella Roma Antica, la pubblicità era l’anima dell’editoria), coniò un verso che ha fatto storia: “parturient montes”, “nascetur ridiculus mus” (i monti partoriranno, ma nascerà solo un ridicolo topo).
Le aspre vette delle Dolomiti, lì da dove Tremonti e mezza Lega parevano pronti a mettere a ferro e fuoco l’obsoleta, arrugginita macchina amministrativa del Belpaese, a partorire nemmeno hanno fatto in tempo: hanno abortito nel lungo percorso che passando per Arcore portava alla sacra Urbe dove le chiacchiere possibilmente debbono tramutarsi in fatti ( o leggi).
Eppure davvero qualcuno ci aveva creduto, qualcuno davvero aveva temuto: stavolta scardineranno le rendite di posizione, la Bce ci ha ammonito, l’Europa compra i nostri titoli solo se si fa sul serio: non avremo più baby-pensionati, i parlamentari, in un impeto di verecondia, la smetteranno di pagare il salmone al prezzo di un bastoncino di liquirizia ( come si evince dall’indecoroso menu del ristorante di Montecitorio) e finalmente ci si ricorderà che difficoltà fa rima (baciata) con solidarietà e se la barca è in procinto di affondare, almeno i salvagente possono acquistarli Totti e Marchionne: in fondo, per loro, sarebbe solo un contributo alla solidarietà.
Eravamo inorriditi, poi, di fronte alla cupa prospettiva che addirittura il Sannio potesse incappare nelle presunte, inflessibili spire del “manovrone” che sul barbecue di ferragosto voleva arrostire tutto il grasso che cola, tutta la mastodontica bistecca dello scialo, potando anche quel minuscolo filamento sannita.
Ma alla fine nell’era in cui sono interscambiabili e flessibili anche le stagioni, Ferragosto si è tramutato in un tronfio Pesce d’Aprile: una carnevalata che ha almeno ha risvegliato dal torpore la classe politica sannita che ha scongelato in rigoroso ordine cronologico le Forche Caudine, Federico lo Svevo, lo Stato Pontificio, Peppino Garibaldi; hanno indossato, tutti, la camicia rossa pronti per una spedizione dei mille con sbarco virtuale a Campobasso. Poi la manovra è divenuta un “manovrino”, che qui ha avuto però il taumaturgico potere di risvegliare i morti: è resuscitato addirittura il Molisannio, questa fantasmagorica entità sulla quale periodicamente si esercitano gli uffici stampa dei politici beneventani.
Almeno stavolta, pare che il Sannio se la sia cavata: abbiamo la Provincia, non una Soprintendenza, non un assessore alla Regione, non il raddoppio della Caianello, non più l’Enel e la Banca d’Italia, ma la Provincia quella resta dov’è: se l’avessero tolta, chi l’avrebbe detto a Garibaldi….