di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Sulla Provincia che non ci sarà più e il Sannio che non c’è ancora o sulla certezza di ieri e l’incertezza di domani sono state dette tante cose: alcune chiare, altre poco chiare, altre confuse. Tutte, però, utili perché hanno contribuito a porre quella che possiamo chiamare “questione sannita”: esiste un territorio non piccolo ed omogeneo che può legittimamente aspirare ad una rappresentanza politico-istituzionale regionale. Vale la pena schiarire questo concetto come vale la pena osservare un cielo nuvoloso che poco per volta si schiarisce e diventa azzurro. Le cose da chiarire sono essenzialmente tre: il Molisannio e i partiti; il Sannio e Sanniopress; la borghesia beneventana e la Provincia. Vediamo.
Molisannio. L’idea del Molisannio è abbastanza vecchia, ma non è mai stata presa seriamente in considerazione. Oggi è agitata da alcuni esponenti del Pdl i quali ritengono di poter compensare la perdita della Provincia con la bandiera del Molisannio. Ma si tratta di un progetto sbagliato proprio perché nasce come un ripiego e non come un progetto. La differenza è grande e visibile: il Molisannio separa, mentre il Sannio unisce. Il Molisannio è un calcolo, mentre il Sannio è un ideale. Il Molisannio ha in sé il morbo del separatismo, mentre il Sannio ha il vigore dell’unione. Il Molisannio nasce dal risentimento verso Napoli, mentre il Sannio nasce dal sentimento verso l’Italia. Chi sostiene l’idea del Molisannio, ieri come oggi, si muove su questa falsariga: siccome a Napoli non conto nulla, mi separo e conterò di più. Come si può capire è un’idea mediocre che non esce dall’enclave beneventana ma la sviluppa in chiave regionalista: Benevento con il Molisannio non sarebbe unita al più vasto mondo ma sarebbe ancora più isolata e il Molise stesso non avrebbe nulla di buono da ricavarne. Il Molisannio non metterebbe in “salvo” neanche quella che Roberto Costanzo ha chiamato la “provincia-comunità”: infatti, sulla stessa logica separatista, alcuni comuni – come ad esempio Limatola, Dugenta, Sant’Agata dei Goti, Telese, Solopaca, Cerreto Sannita, Faicchio – sentendosi più vicini a Caserta e a Napoli che a Campobasso chiederebbero di andar via riscoprendo la originaria rivendicazione separatista di 150 anni fa. Dunque, il Molisannio è una pessima idea.
Sannio. Sanniopress può già dire di aver vinto la sua battaglia culturale. Ha posto da subito e con chiarezza la “questione sannita” che, a differenza del Molisannio, non è vecchia ma antica e ha dalla sua parte non solo la storia e la geografia ma anche una tradizione costituzionale che rimonta proprio alla nascita dell’Italia e della Provincia. Il Sannio, quindi, per chi ha orecchie per intendere e occhi per vedere non è un’astratta velleità ma un progetto istituzionale sensato e fattibile che si inserisce con coerenza e legittimità nella storia nazionale. La forza di questo ideale è sottolineato anche dal fatto che non coincide con interessi di singoli partiti ma, al contrario, tende a spiazzarli e a farli muovere in una logica culturale e istituzionale in cui si sentono a disagio. Questo non deve stupire più di tanto: i partiti sono da molto tempo delle realtà sterili ed esangui del tutto incapaci di produrre idee e indicare strade da percorrere. Il Sannio, invece, ha dalla sua gli interessi delle principali quattro cittadine e quattro “province” che già lo compongono di fatto territorialmente: Isernia, Campobasso, Benevento, Avellino. Le quattro città possono unirsi nella regione Molise e cambiarle nome dando vita a una realtà maggiore con prospettive di sviluppo cospicue e in sana competizione con Napoli e la fascia costiera tirrenica. Il modo per realizzare il progetto è indicato dalla Costituzione: i referendum. Sanniopress, fedele al suo compito culturale e di critica, è già parte del comitato beneventano per il Sannio unito e continuerà a svolgere il ruolo che si è scelto.
Borghesia. E’ il tasto più dolente. Infatti, anche se il Sannio, come si è visto, è un ideale giusto e un interesse concreto, la borghesia beneventana (ammesso e non concesso che esista una cosa di tal fatta) non è attiva ma passiva, non traina ma va a rimorchio, non è una locomotiva ma una carrozza. La sua consistenza economica e sociale è impiegatizia e statale e non autonoma e imprenditoriale, cerca la certezza e fugge il rischio, attende e non crea. L’idea di “salvare” dall’abolizione della Provincia lo status di capoluogo è figlia di una borghesia largamente improduttiva che chiede invece di dare e senza l’ala protettrice dello Stato o di qualche simulacro del potere si sente come spaesata e sola al mondo come un’orfana. E’ su tale terreno secolare fatto di rinuncia e rassegnazione che il mondo piccolo borghese beneventano si chiude in se stesso e cerca la salvezza in un’enclave prima di tutto mentale e poi politica. Ma da questo eterno ritorno del piccolo mondo antico beneventano che trasforma la pigrizia in palazzo le giovani generazioni hanno poco da attendersi: la favola bella che ieri ti illuse, o coglione, è svanita e in suo luogo appare l’orfano sannita. E’ qui che la Provincia, esalando l’ultimo respiro, può dare ancora un contributo di vita e pensiero.
La Rocca dei Rettori, come ha evidenziato già Billy Nuzzolillo, ha l’occasione di sposare l’idea della Regione Sannio facendo parte del comitato beneventano e svolgendo un ruolo istituzionale con le altre “province sannite”. Chi ha orecchie per intendere e occhi per vedere, si è detto, capirà che il Sannio è un progetto istituzionale a portata di mano: oggi, per paradosso, la Provincia (qualunque sia il suo destino) è morta ma la Regione Sannio può vivere. E’ raggiungibile, è utile a tutti, unisce e non separa, ingrandisce e non rimpiccolisce, esalta e non intristisce, rinfresca l’aria, provoca novità e movimento e occasioni, fa simpatia e crea futuro. Il Sannio è l’idea politica degna di essere pensata e vissuta. Tutto il resto è noia.