di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Il miglior critico del presidente della Regione Campania che vuole portare gli assessori della sua giunta da dodici a quattordici è, senza dubbio, Stefano Caldoro. Soltanto tre settimane fa, precisamente il 20 luglio, il governatore rilasciava un’intervista in cui per recuperare soldi ed efficienza sfidava il Nord sul terreno del federalismo virtuoso con l’idea di accorpare i comuni al di sotto dei cinquemila abitanti e le province con meno di cinquecentomila abitanti. E aggiungeva: “Non c’è nulla di pretestuoso in ciò che dico. Anzi. Sarebbe un’operazione vera di federalismo e, soprattutto, di tagli alle spese e agli sprechi. E poi, potremmo dare l’esempio anche qui. Non è detto che la Campania debba essere esclusa da questa ipotesi di riassetto amministrativo”. Il buon esempio del presidente Caldoro è l’accorpamento delle province di Avellino e Benevento. Ma il riformismo istituzionale del governatore campano è durato, appunto, tre settimane scarse.
Caldoro, dopo aver anche annunciato una riforma presidenzialista della stessa Regione, è passato dall’accorpamento all’ampliamento. Nella prima proposta il governatore veste i panni del riformista amministrativo, mentre nella seconda proposta, peraltro molto più concreta e subito praticabile, il riformismo lascia il passo a uno statalismo in chiave regionalista. Così, mentre altri organi amministrativi e politici dovrebbero essere tagliati per essere accorpati, la giunta Caldoro deve aumentare per allargarsi. Le due proposte – quella del Caldoro riformista e quella del Caldoro statalista – sono manzonianamente l’uno contro l’altra armate e in palese contraddizione. La prima idea è virtuosa, la seconda è viziosa. La prima sfida il Nord, la seconda peggiora il Sud. Ma, soprattutto, quale dei due presidenti dobbiamo prendere in considerazione: il riformista o lo statalista?
La scelta di Caldoro, soprattutto se vuole dare il buon esempio, è obbligata: gli assessori non possono aumentare. In gioco, ormai, c’è la sua stessa credibilità. Il modo stesso in cui ha cercato di giustificare l’ampliamento della giunta rivela la insostenibilità della scelta: “I nuovi assessori sono a costo zero”. E’, come tutti capiscono, una giustificazione molto, molto debole. Due nuovi assessori, cioè due nuovi ministri regionali, si fanno se c’è reale bisogno di quelle funzioni. Il valore di un ministero non si fonda sui costi ma sui servizi e benefici pubblici: se questi ci sono è bene fare e difendere il ministero, ma se non ci sono, allora, creare un nuovo ministero significa aggiungere alla beffa anche il danno.
In conclusione, non si sa se Caldoro sia ingenuo o furbo. La sua idea di accorpare si basa sulla consapevolezza dei costi insostenibili, la sua idea di ampliare si basa su costi “sostenibili”. La semplicità di Caldoro, in questo caso, sembra quella di Arlecchino il quale, dopo aver distribuito ai suoi ragazzi un dono di trombette e tamburelli, diceva loro di divertirsi ma senza far rumore.