di Gabriele Corona*
(Sanniopress) – Il sequestro dei beni del valore di 10 milioni di euro riconducibili a Giuseppe Ciotta, noto imprenditore beneventano affiliato alla camorra, è un fatto di grande importanza e rappresenta un passo avanti nel contrasto alle attività criminose nel Sannio. Il merito va ai carabinieri e a tutti gli investigatori che si sono per anni occupati delle attività di Ciotta e delle sue ditte, ma soprattutto al Procuratore Capo della Repubblica di Benevento, Giuseppe Maddalena il quale, nonostante le sabbie mobili del Palazzo di Giustizia, riesce a condurre complesse indagini con risultati apprezzabili.
Già nel 1997 la Procura della Repubblica aveva proposto la sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per il Ciotta ma la richiesta fu bocciata dal Tribunale di Benevento. Fu necessaria la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 1° ottobre 1998 per stabilire che Giuseppe Ciotta era “persona pericolosa che per condotta e tenore di vita risulta dedita alla commissione di reati dai quali trae anche in parte proventi”. Un anno dopo la Suprema Corte di Cassazione Penale confermò la pericolosità sociale di Ciotta e il conseguente obbligo di soggiorno obbligato nel comune di residenza.
La attuale Procura della Repubblica anche con la collaborazione della Direzione Investigativa Antimafia ha dato poi impulso alle indagini che hanno portato a nuove misure restrittive per Ciotta e al sequestro attuale dei beni e delle società ad egli riconducibili, tra le quali la ditta Procaccini Anna che ha continuato ad aggiudicarsi lavori e forniture da parte delle pubbliche amministrazioni. La Provincia alcuni anni fa, nonostante il Certificato Antimafia rilasciato dalla Prefettura a tale ditta, la escluse, opportunamente, dagli appalti mentre il Comune di Benevento le affidava i lavori di sistemazione della strada via Valfortore e a giugno 2007 si ritrovò a fare i conti con richieste di pagamento a fronte di “Stati di avanzamento” mai accettati e fatture con protocolli falsificati.
Se si considera che anche le altre ditte riconducibili a Ciotta ed interessate dal sequestro operato ieri l’altro, hanno continuato ad aggiudicarsi appalti pubblici, si comprende la necessità di una profonda riflessione da parte della Prefettura e delle Amministrazioni pubbliche, sulle modalità di rilascio dei certicati e delle informative antimafia e sulla applicazione dei vari “protocolli di legalità”.
E’ necessario, inoltre, notare che tra i beni sequestrati vi è la cava di Collealto di Morcone che il Commissariato di Governo per la emergenza rifiuti l’8 novembre del 2007 aveva scelto come luogo di smaltimento delle ecoballe inquinate al punto da non poter essere neppure incenerite. Naturalmente il Commissariato prevedeva di pagare un lauto fitto al proprietario della cava acquistata, qualche giorno prima, esattamente il 29 ottobre, dalla ditta Procaccini Anna attraverso un’asta giudiziaria del Tribunale di Benevento.
Adesso, dopo il sequestro preventivo dei beni riconducibili al Ciotta, ci auguriamo che le indagini della Procura della Repubblica di Benevento si estendano ai rapporti dell’imprenditore con i politici locali e i funzionari di banca che gli hanno consentito di vincere appalti e riciclare denaro.
* presidente Altrabenvento