di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – “Solidarietà”: è la parola più amata e usata a sinistra. Ma, come dimostrano in casi No Tav e No Rifiuti, una cosa sono le parole e altra cosa sono le azioni. Nell’assalto alla Tav in Val di Susa a base di “bombe di ammoniaca” la solidarietà è stata sostituita, come ha detto e condannato Giorgio Napolitano, da “squadre militarizzate” che hanno condotto “azioni aggressive contro reparti di polizia chiamati a far rispettare la legge”. Eppure, la sinistra radicale – la sinistra a sinistra che è definita anche “antagonista” e con il mondo degli antagonismi e dei centri sociali è legata a doppio filo – non riesce a dire parole chiare e nette per chiamare violenza la violenza e di conseguenza condannare propositi e azioni terroristiche. Da una parte ci sono i violenti e dall’altra i poliziotti. La scelta è facile e scontata, ma la sinistra più ideologica – Rifondazione, i vendoliani, persino il popolo verde – proprio non riesce a identificarsi nelle parole del capo dello Stato. Anzi, non riesce proprio a identificarsi con lo Stato che viene tuttora visto in maniera marxista come una copertura di interessi di classe. In questo caso a coprire gli interessi della classe borghese e del mondo moderno e globale sarebbero gli operai, i poliziotti e quei cittadini della Val di Susa (perché ci sono anche quelli) che non sono contrari al tunnel che collega Torino a Lione. In questo tunnel si sono già smarrite le aspirazioni – semmai ci siano state vere possibilità politiche – di Nichi Vendola a incarnare la leadership di una sinistra unita senza distinzioni.
La solidarietà negata delle “regioni rosse” – Emilia Romagna, Umbria, Puglia – a Napoli e alla Campania non è diversa dal no della Lega al decreto del governo per “ordinare” il trasferimento dei rifiuti napoletani in altre regioni. Anzi, anche in questo caso c’è un’aggravante: i leghisti hanno detto no al decreto, ma il decreto è stato approvato dal governo e le “regioni rosse” devono tenerne conto e rispettare una legge dello Stato. Invece, dopo aver dato verbalmente la solidarietà al sindaco Luigi de Magistris (e al governatore Stefano Caldoro) la ritirano nell’azione concreta. Naturalmente, ci sono anche regioni governate dal centrodestra, dalla Lombardia alla Calabria, che hanno rifiutato i rifiuti napoletani, ma il no secco delle “regioni rosse” risalta di più proprio per motivi politici e antileghisti. Come è possibile che, soprattutto nel caso dei rifiuti, l’antileghismo abbia comportamenti identici al leghismo?
Ciò che unisce i due fatti senz’altro diversi – No Tav e No Rifiuti – è la sconfitta della cultura dello Stato e della comunità nazionale. Quando si tratta di rispettare le leggi dello Stato che tutelano degli interessi nazionali, la sinistra radicale, che è sempre così pronta a inneggiare al valore della legalità, scopre delle altre motivazioni rovistando con profitto nei sotterranei novecenteschi della sua lunga storia ideologica. Le legalità – legge dello Stato – è inviolabile se la magistratura indaga su avversari politici; invece, diventa violabilissima se accoglie e ratifica accordi europei che ammodernano la rete dei trasporti del “vecchio continente”. Qui la sinistra radicale incontra un tabù: la modernità sotto forma di globalizzazione che è il nuovo volto assunto storicamente dal capitale borghese. Così scatta la condanna ideologica e il fine – la lotta contro la globalizzazione capitalistica – giustifica tutti i mezzi, anche quelli violenti. Nel credo ideologico, anzi, non c’è differenza tra violenza e non-violenza, ma tra violenza rivoluzionaria e violenza statale. Indovinate qual è la violenza giusta secondo gli ideologi e i cattivi maestri dei centri sociali che, purtroppo, i rappresentanti della sinistra radicale non rifiutano né sul piano teorico né su quello pratico (anzi, della prassi)?
Stessa sorte è riservata alla comunità nazionale o all’interesse nazionale. Nell’osteggiare la Lega e le sue rivendicazioni padane, la sinistra, Costituzione alla mano, fa naturalmente appello all’unità territoriale dell’Italia che non si può dividere a fette come una torta. Anche nella riforma attuata, proprio dalla sinistra, del Capitolo V della Carta si limita il regionalismo con la funzione unificatrice dello Stato. Si potrebbe dire che là dove lo Stato, attraverso il governo, è presente, là finisce il potere federalista delle regioni di fare un po’ come pare e piace a loro. Eppure, nella questione dei rifiuti campani – che pure, questo è scontato, deve trovare una degna soluzione nel territorio campano con la costruzione del “ciclo chiuso” dei rifiuti – la posizione assunta dalla sinistra che governa regioni “solidali” con Napoli e i napoletani viene a capovolgere geometricamente l’interesse nazionale che esce di scena per fare spazio a interessi regionali o, ancor meglio, di partito elettorale.
Non è inutile notare che, come negli scontri drammatici in Val di Susa, anche sul caso dei rifiuti napoletani il presidente Napolitano ha incarnato nitidamente la posizione dello Stato che deve garantire le condizioni minime della vita civile a Napoli come a Sondrio e a Santa Maria di Leuca. Ma, evidentemente, a sinistra – sia che sia radicale sia che sia moderata – il “migliorista” Napolitano non fa scuola e le cose non migliorano.
Le parole hanno un loro preciso significato che se rispettato ci dà il senso delle cose. Le parole che ci restituiscono il senso delle cose sono due: ferrovia e spazzatura. La ferrovia ha oltre due secoli di vita. La spazzatura è antica quanto l’uomo. Ma in Italia la costruzione di una strada ferrata e lo smaltimento dei rifiuti provocano scontri di piazza e scontri istituzionali. Tra le cose da fare – ferrovia e discariche – e gli effetti politici e sociali che ne derivano c’è di mezzo una tale sproporzione e un tale sproposito che se il famoso marziano di Flaiano tornasse da queste parti direbbe, giustamente, che “è roba di un altro mondo”. Il “signor Kunt” – il nome del marziano – è più ragionevole dei rappresentanti politici della sinistra radicale che non solo si mobilitano per osteggiare la costruzione di una ferrovia, ma non condannano la violenza organizzata dei black bloc, del mondo antagonista, dei centri sociali. Lo stupore del marziano, però, non può essere il nostro: la teorizzazione della violenza per il raggiungimento di scopi politici è parte integrante della storia del Novecento e in particolare della sinistra. In Italia c’è un mondo, peraltro non piccolo, che ancora coltiva i suoi fantasmi novecenteschi in questa cultura. Le forze politiche della sinistra radicale che si sono assunte il compito, in vari modi, di “rifondare” il comunismo o ripensare il risentimento della lotta di classe non dovrebbero perdere occasione di condannare la violenza e la sua “prassi”. Purtroppo, come già avvenuto nel recente passato, anche questa volta con il movimento No Tav ci troviamo dinanzi a l’ennesima occasione sprecata. Sono troppi i silenzi, troppi i giri di parole, troppi i distinguo quando, invece, tra la violenza o la politica violenta e lo Stato non ci devono essere indecisioni di sorta. La sinistra radicale è ancora nel tunnel del Novecento e, nonostante s’immagini alla guida del treno della Storia, non riesce ancora a prendere il treno giusto.