di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Facendo la parafrasi del titolo del grande libro di Gianni Vergineo, Storia di Benevento e dintorni, scriverei un pezzo intitolato Cronaca di Benevento e dintorni. Negli ultimi tempi sono accadute a Benevento e dintorni tante e tali cose che può essere utile fare un “punto della situazione”. Le elezioni comunali, la questione del Teatro Romano, le infiltrazioni d’acqua dell’Arco di Traiano, l’Unesco e Santa Sofia confermano che Benevento può sviluppare una sua “industria culturale” se tutela e cura il grande patrimonio di arte e storia che la contraddistingue.
Noi e i Longobardi
Va dato atto a Raffaele Del Vecchio di aver seguito la “pratica” dell’Unesco e del riconoscimento del complesso monumentale di Santa Sofia come patrimonio dell’umanità. Certo, il suo ruolo istituzionale glielo imponeva, tuttavia l’assessore alla Cultura ha dimostrato sensibilità e attenzione e giustamente ha esultato con orgoglio quando a Parigi è stata data ufficialmente la notizia del riconoscimento. Eppure, chiediamoci: quali sono le conseguenze pratiche di tale riconoscimento? Benevento si potrà fregiare di un titolo insieme con altre importanti “città longobarde” d’Italia. Sarà inserita nel circuito nazionale delle “terre longobarde” e potrà ricavarne giovamento per il suo turismo. Ma, come accade per tutto ciò che ha a che fare con i titoli e i simboli, bisogna lavorare perché il riconoscimento Unesco non sia solo un titolo e un simbolo. In fondo, tutto è già scritto nella parola “riconoscimento”: si riconosce ciò che già c’è. La decisione dell’Unesco di elevare i siti longobardi a patrimonio dell’umanità gratifica la città ma va sottolineato con forza che Benevento in quanto patrimonio di se stessa era già un patrimonio dell’umanità. La storia dei Longobardi a Benevento ha trovato a Benevento storici importanti e non ultimo, senza risalire troppo in là nel tempo, mi piace citare proprio l’opera di Gianni Vergineo. Santa Sofia con il suo mirabile e magico chiostro e con i marmi e le pietre del Museo del Sannio è uno “spettacolo della storia” da mostrare a turisti, visitatori, storici, amanti dell’arte. Il riconoscimento dell’Unesco va valutato più sul piano degli oneri che degli onori. Questa è la lezione da trarre.
L’acqua dell’Arco di Traiano
L’Arco di Traiano è il simbolo di Benevento. La sua immagine classica è la sintesi compiuta della storia beneventana di ieri e di oggi e di domani. Chi viene a Benevento vuole vedere prima di tutto l’Arco. E’ giusto. L’Arco di Traiano sta a Benevento come il Colosseo sta a Roma. Però, l’Arco di Traiano non ha bisogno di una manutenzione come il Colosseo. Tutto è più piccolo, semplice, curabile. Anno per anno, mese per mese. Ma l’Arco fa acqua. E’ malato di infiltrazioni e di umidità e ogni tanto perde qualche pezzo. Le segnalazioni avvengono in modo estemporaneo. Solitamente è il passante che dà la notizia che poi raggiunge comune, provincia, soprintendenza che la danno ufficialmente e trombonescamente. L’ultimo caso, quello forse più clamoroso, della “perdita” d’acqua è stato giustificato più o meno così: è la conseguenza dei tagli alla cultura. Questa storia dei tagli alla cultura sta diventando una barzelletta: ogni cosa che non va nella conservazione dei Beni culturali è giustificata con i tagli alla cultura. La vera sciagura dei questi tagli non è tanto la mancanza di soldi quanto l’alibi che ha creato in chi è chiamato a tenere gli occhi aperti e a svolgere il lavoro di salvaguardia. E’ bene essere chiari, allora: la conservazione dell’Arco di Traiano per Benevento è così importante e vitale che va ben oltre una mera questione di fondi. Il comune, al di là delle sue competenze tecniche e amministrative, ha il dovere di monitorare l’Arco in modo costante. Perché qui c’è il cuore di Benevento.
Il Bue, il Papa, l’Imperatore
Prima del voto comunale ponemmo all’attenzione dei candidati l’idea, tutt’altro che peregrina, di fare alcuni importanti “spostamenti”: il Bue Api in Piazza Santa Sofia e dintorni; Papa Orsini nella sua collocazione originaria; l’Imperatore in Piazza Roma rivolto verso l’Arco e la via Traianea. Fatte le elezioni, rifatta la giunta, nessuno ha voluto discutere la proposta. Raffaele Del Vecchio, che pure avanzò l’idea di spostare il Bue Api, tace. Ci permettiamo di far notare che Raffaele del Vecchio fa l’assessore per la seconda volta e nel giro di qualche anno il suo cognome potrebbe definire alla perfezione la sua condizione politica: vecchia. E’ tempo, caro assessore, di fare qualche cosa che duri nel tempo. Benevento è una città che ha risorse storiche e monumentali decisive per quantità e qualità ma le “politiche culturali” che il comune mette in campo non sono all’altezza della storia di Benevento e dintorni. A volte mancano le occasioni, a volte ci sono buone iniziative dal seguito incerto, data la pigrizia delle realtà di provincia. Eppure, come non notare che proprio dalla decisione dell’Unesco si può ricavare il destro per mettere sul tappeto cose e fatti che meritano maggior fortuna. La dico tutta: una ridefinizione degli spazi urbani nel centro storico con una ricollocazione di alcuni importanti monumenti è ormai una questione non più rinviabile. I tempi sono maturi da quando Corso Garibaldi è stato felicemente chiuso al traffico delle automobili. La conseguenza di questa scelta non può essere solo la “movida”; anzi, la stessa energia dei giovani e la loro voglia di vivere vanno incanalate nella vita cittadina con scelte significative e avvedute sul piano urbanistico, monumentale, commerciale. Benevento è chiamata a fare un salto di qualità e l’assessorato alla Cultura ha un ruolo importante.
Il Premio Strega
Da qualche anno Benevento ha un rapporto più stretto con il Premio Strega. Gli scrittori vengono in città, sono coinvolte le scuole, ci si ritrova al Teatro Comunale. Tutto bene o quasi. Perché, in realtà, la città è distratta. L’idea di avere una “sezione” del Premio a Benevento è troppo simile all’idea “leghista” di spostare i ministeri o loro uffici in Padania. Se vogliamo che il Premio Strega abbia qualcosa in più da dire e da fare a Benevento dobbiamo uscire dalle passerelle artificiose e astratte e pensare una corrispondenza più stretta con la città a partire dai librai, da caffè, dalle scuole e dall’università. Ai sei teatri di Benevento ne va aggiunto un settimo: il Corso con le sue arterie e le piazze. La letteratura va portata in strada, in piazza, in chiesa, nel chiostro. C’è l’imbarazzo della scelta. Bisogna saper scegliere per provare a progettare una certa idea di città.
In sintesi: è giunto il momento di mettere a sistema le tante potenzialità culturali di Benevento. I fatti di cronaca che su questi temi si rincorrono con sempre maggior frequenza ci dicono che i tempi sono ormai maturi. La città ha bisogno di creare un dibattito pubblico permanente. Il confronto delle idee, degli interessi, dei valori è una ricchezza che fa tutti più avveduti e attivi. Noi siamo qui a fare la nostra parte, nella speranza che il Comune non faccia orecchie da mercante.