(Sanniopress) – Il Pdl è un partito che non è mai nato. A Benevento è andata anche peggio: non è stato neanche concepito. Con la separazione dagli ex di An è ritornato ad essere la Forza Italia di una volta. Ma con un difetto in più: la nomina romana dei deputati. La crisi sannita del centrodestra prima e di ciò che resta del Pdl poi ha qui la sua origine: nel “nominalismo”. Non è un difetto solo del partito di proprietà di Silvio Berlusconi, si capisce; tuttavia, è in questo partito che la partitocrazia senza partiti della Seconda repubblica si esprime al meglio. Far funzionare in modo politico e democratico una forza partitica che, invece, per suo carattere ha accantonato il dibattito e la formazione delle idee è un’impresa disperata. Il partito dei nominati è costituzionalmente oligarchico. Non si fonda sulla partecipazione ma sulla cooptazione. Il centrodestra a Benevento, al di là delle storie personali e delle rispettive antipatie, si è sfasciato qui. Se le cose non cambiano sarà praticamente impossibile ricomporlo.
Oggi a Benevento la destra è all’opposizione. Nel senso che non è in amministrazione né a Palazzo Mosti né alla Rocca dei Rettori. Ma non nel senso che è opposizione. Infatti, non basta perdere le elezioni per essere opposizione. Anche il ruolo istituzionale, prima ancora che politico – figurarsi partitico – del controllo, della critica, della proposta ha bisogno di un suo riconoscimento pubblico come avviene per chi vince. Fausto Pepe, che è stato rieletto proprio grazie alla fine dell’unione politica del centrodestra e che non è un’aquila, non ha antagonisti. Il Pdl, o quel che ne resta, si è diviso prima, durante e dopo il voto. Continuerà a dividersi e a perdere pezzi. Per due motivi: primo perché la sua crisi dipende interamente dal declino della leadership di Berlusconi; secondo perché non ha in sé la freschezza della partecipazione democratica ma solo il meccanismo sterile della cooptazione. Sono prima di tutto gli stessi “pidiellini” ad avere difficoltà nel riconoscere il Pdl. Figurarsi che cosa avviene al di fuori della pur piccola comunità politica.
Alla Provincia c’è uno scenario molto simile. Il presidente Cimitile non ha una maggioranza che fa sognare, ma anche in questo caso la minoranza è più minoranza per i seggi che per la politica, la cultura, la strategia, gli interessi. Per trovare degli antagonisti di Cimitile dobbiamo far ricorso alla sua stessa area politica o rifarci al precedente mandato di Nardone. La destra è assente. Occupa i banchi, siede in consiglio ma non ha voce. Lavorare perché abbia nuovamente qualcosa da dire non è facile. L’unico leader naturale della destra nel Sannio, Pasquale Viespoli, ha già un futuro dietro le spalle. La sua intelligenza politica è necessaria per ricostruire ciò che non solo lui ha “scassato”. Questo è scontato. Ciò che non è scontato è che non è più sufficiente. Il problema della destra o del centrodestra a Benevento si configura più o meno in questo modo: come mettere insieme la destra di Viespoli – ma la definizione è molto approssimativa, ormai – con i cattolici e laici di estrazione democristiana e riformista senza ingolfarsi nel berlusconismo senza Berlusconi? L’esperimento di Tel è fallito. Non può essere riproposto, almeno in quei termini. Bisogna ricominciare ad agire politicamente, quindi vanno accantonati o considerati per ciò che sono gli slogan, gli ideologismi, i moralismi. Il modo più immediato per ricostruire una politica è fare opposizione nel concreto. E siamo di nuovo al punto di partenza: l’opposizione non c’è.