di Nicola Sguera
Anche i beneventani sono andati a votare per i referendum. Questo non può che far piacere a chi ha creduto nella battaglia referendaria, che riguardava non solo e non tanto le politiche del governo in carica quanto delle scelte dotate di immenso impatto simbolico prima che pratico (la dimensione “comunitaria” di alcuni beni come l’acqua, il rifiuto di un’energia illimitata ma pericolosa come l’atomica, il principio che non ci sono persone più uguali di altre).
Ma è apparso anche evidente un impegno, come dire, scarso, da parte di quei partiti che poche settimane fa hanno ottenuto uno spettacolare successo al primo turno nel capoluogo, riuscendo a far eleggere il PD Fausto Pepe al primo turno come Sindaco. Abbiamo visto i manifesti del PD affissi nelle poche strutture demandate all’occasione, abbiamo letto dei gazebo organizzati da IDV e da SEL, saputo di una conferenza stampa della CGIL. Il L@p ha svolto iniziative pregevoli… Faccio riferimento, dunque, a quanti hanno sostenuto attivamente il centrosinistra alle Amministrative. Per il resto, mi è parso, molta inerzia. Nessun big si è speso pubblicamente, non sono stati promossi grandi eventi come in altre città… I soldi, forse, erano stati spesi tutti…
Il grosso della campagna pro-referendum, dunque, è stato svolto da decine di attivisti riuniti in comitati o a titolo individuale (su tutti “Commons” per qualità e quantità delle azioni dispiegate), utilizzando i mezzi più innovativi (dal flash mob alla Rete per propagare messaggi e stimolare la partecipazione attiva). La domanda che è sorta in Rete ad alcuni di noi è: come interpretare questo fenomeno? Se la politica “istituzionale” demanda ai movimenti la sensibilizzazione rispetto a questioni che dovrebbero costituire la sua ragion d’essere, qual è la sua funzione?
Per quanto mi riguarda ho vissuto con trepidazione la possibilità di “fare rete”, di costruire con centinaia di persone, “dal basso” e orizzontalmente, un agire nuovo, radicato in ciò che alcuni filosofi definiscono il “comune”, libero dai vincoli verticistici (della politica ma anche dell’informazione calata dall’alto e monodirezionale). E, dunque, la delusione delle Comunali, dove avevo assistito al trionfo dei vecchi modi di fare politica, ha lasciato il posto all’entusiasmo per l’avvento anche a Benevento della politica 2.0. L’auspicio è di riuscire, tutti noi, con le nostre differenze (e ricchezze) a costruire una rete sempre più grande, dove sia possibile generare relazioni, saperi, azioni di trasformazione del reale.