di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – I referendum, che non erano politici, avranno risvolti politici. Se vero, come è vero, che il governo e la sua maggioranza erano in crisi prima del referendum, a maggior ragione è verissimo che lo sono ora. Come era già accaduto per il voto amministrativo a Milano e a Napoli, il presidente del Consiglio ha nuovamente dimostrato di non essere più in sintonia con niente. Le sue mosse non solo non incontrano né suscitano il vento favorevole degli elettori e dell’opinione pubblica ma, addirittura, lo fanno soffiare all’incontrario.Come il famoso treno dei desideri (Celentano sarà contento). In pratica, dai referendum non sarebbe dovuta arrivare nessuna spallata al governo, ma il governo che confidava nel pic-nic degli italiani in gita è sempre più bravo a infliggersi delle pesanti auto-spallate. Un po’ come le tremende bottigliate del popolare Tafazzi.
Il risultato più pesante per Berlusconi e la maggioranza che lo sorregge(va) è naturalmente dato dal quarto quesito, quello sul legittimo impedimento. Gli italiani – il popolo sovrano, secondo la definizione enfatica di cui abusa da Angelino Alfano – lo hanno abrogato: la legge è uguale per tutti. Prima del voto Berlusconi non voleva neanche pensare all’ipotesi dell’abrogazione. Ora le cose sono un po’ diverse: infatti, che ci pensi o meno Berlusconi è ininfluente, mentre è bene che ci pensi su con attenzione il Pdl e quel che ne resta. E’ questo, senza dubbio, il risultato più pesante perché è evidente che anche gli elettori del centrodestra hanno abrogato lo “scudo” pensato apposta non solo per il primo ma per tutti i ministri. Il problema più autentico del centrodestra è proprio qui: non si può trasformare la rappresentanza politica di questa area in un’oligarchia. A chiunque toccherà rappresentare il centrodestra – e qualunque cosa sarà il centrodestra – entrerà nuovamente in comunicazione con gli italiani solo e soltanto se si romperà il cerchio magico degli interessi personali e della casta che il berlusconismo, per ragioni di controllo e di patrimonio, prima ha tirato su e poi vi si è rinchiuso dentro.
Dobbiamo riconoscerlo: il governo è stato bravissimo a mettersi in trappola da solo. L’idea di non dire nulla sui quesiti, di farli passare in cavalleria, di addormentare informazione e dibattito confidando nel sole, nel mare e nei monti si è rivelata un fiasco. Tutto sarebbe stato più giusto e normale se il governo su acqua e nucleare avesse preso la posizione più naturale: nel caso dell’acqua la difesa di una legge dello Stato e nel caso del nucleare da una parte la difesa della ricerca e dall’altra evidenziando l’esigenza sempre da soddisfare dell’energia che ci serve per andare avanti. Certo, l’opposizione di sinistra avrebbe attaccato accusando l’esecutivo di essere partigiano, ma il governo avrebbe avuto buon gioco nel ribattere dicendo di praticare solo la sua funzione istituzionale di governare. Invece, proprio questa è la tessera mancante: il governo è in vacanza da molto tempo. Il governo non è più un governo. Stretti intorno a Berlusconi e alle sue inenarrabili avventure personali dai risvolti pubblici, ministri, sottosegretari, consiglieri, intellettuali hanno perso il “ben dell’intelletto” e il senso del “bene comune”. L’arte di governare, a tutti i livelli, è diventata l’arte di difendere Berlusconi, a tutti i livelli. La particolarità della natura politica del Pdl, che è un partito a responsabilità limitata, ha fatto il resto. Oggi il ministro dell’Interno dice: “O una svolta o si andrà a votare”. Meglio la seconda, ministro.
(tratto da Liberal)