Oggi mi sento di scrivere la pagina del mio diario più terribile e crudele.
Oggi mi rendo conto di quanto il mondo e la realtà possano lacerare e lasciare un segno indelebile nel cuore di chi subisce ed oggi di chi ascolta.
E’ stato tanto difficile ascoltare questa storia, reggere questo confronto.
Un confronto con una bimba di soli 14 anni. Un bimbo di 7 mese tra le mani. Il suo bimbo.
Frutto di un amore violento non voluto. Sola, non ha possibilità di mantenere il suo piccolo, insieme lo portiamo in una moìissione. Si prenderanno cura di lui. Si prenderanno cura di lei.
Nei villaggi dell’interno il fenomeno è meno visibile, ma non per questo meno diffuso.
Sono pronti ad accompagnarti in cento, mille capanne. Scegliere tra creature di ogni età, tutto questo per fame.
Ajiira è con tre sue compagne di scuola e di sventura.
Sono con suor Salvina. Ci hanno detto che qui molte ragazzine si prostituiscono, proviamo a prenderla alla larga.
“Non ne so niente”, si schermiscono una dopo l’altra, Ajira osserva in silenzio, giocherellando con i bottoni del liso vestitino che indossa.
Quando è il suo turno quasi un guanto di sfida, e lascia libere le parole.
“Si, è vero. Qui sono molte a fare questo lavoro. La vita costa, bisogna mangiare tutti i giorni, vivere.
E allora ci si arrangia. Per molte ragazze, questo è diventato un lavoro, uno come tanti.”
E a te è mai successo? Anche tu hai fatto questo mestiere?
Per un po sta in silenzio, osservando gli sguardi di rimprovero che le sue amiche le lanciano da quando ha iniziato a parlare.
Forse anche per questo decide di proseguire.
“I miei genitori sono commercianti.
Ora sono tutti poveri e il commercio renderende poco.
Mio padre è morto di lebbra, un’anno fa.
Cosi è toccato prima a me e poi alle mie sorelle dare una mano.
Che avevamo da vendere? Solo il nostro corpo.
Ho cominciato tre anni fa. Pensavo che sarebbe stata l’ultima volta. Una volta e poi basta. E invece.
Papà si è indebbitato e si è ammalato e ci è toccato continuare. Quella volta la ricordo bene.
Fu terribile. Un uomo entrò nella casa che papa aveva comprato. Era uno avanti negli anni, con i denti sporchi, guasti. Ero sola.
Come per incanto i miei familiari erano spariti. “uno schifo! Fai questo, fai quello, lasciati guardare, ordinava quel vecchio orrendo.
A me toccò obbedire, solo obbedire, far finta e sorridere imparare a piangere dentro.
Prima di andarsene quell’uomo mi fece una carezza, come un padre a una figlia, e mi lasciò una banconota da cinquemila scellini.
Nel nostro paese, quel biglietto vale circa 2 euro. Non basta a pagare neanche un caffe.
Ne valeva la pena?
“Quando hai fame non hai diritto a far troppo di conto. Prendi quello che puoi.
E poi quell’uomo fu solo il primo di una lunga fila e quei soldi, insieme a quelli guadagnati dalle mie sorelle, facevamo un bel gruzzoletto.
Erano vita per la mia famiglia. Chi ero io per rifiutarli? Niente, nessuno.”
Chi è stato a spingerti verso questa attività, tua madre?
“No , assolutamente!”
E chi te li compra i vestiti che indossi? Non è mica roba da bambine ….
Ajira si fa rossa. Per la prima volta sembra scontenta della sua scelta di parlare. Abbiamo scoperto un antico dolore, le fa male solo pensarci.
“Mia Madre. E’ lei a comprarmi le cose, io non tengo nulla per me dei miei guadagni.
Però lo fa perchè mi vuole bene, per farmi contenta.”
Hai un sogno?
“Io? Chi sono io per sognare, che diritto, che voglia posso avere di mettermi a sognare?”
Magari speri, da grande, di sposarti, di avere una tua famiglia…..
“E chi se la prende una come me? Le ragazze della mia età non mi riìvolgono più la parola.
I ragazzi quando mi vedono sghignazzano, fanno brutti gesti, allungano le mani.
No, io non mi sposerò mai. Gli uomini, poi, mi fanno schifo, paura. Sono cattivi, tutti cattivi”.
Com’era il tuo papa?
“Buono, bello. Aveva un carattere dolcissimo, non perdeva mai la pazienza, sapeva ascoltare, giocare con noi piccoli, raccontare storie.
Al villaggio era rispettato, gli volevano tutti bene. Ecco, questo è il mio sogno, da grande vorrei essere come lui.
Vai mai a trovarlo?
“ogni volta che posso. E’ sepolto sotto un grande albero, poco distante dalla nostra capanna. Vado li e gli faccio compagnia.” Cosa gli dici?
“Niente. Vorrei dirgli che, se avessi un’altra possibilità, non avrei più paura, non lo lascerei solo.
Poi mi vergogno e riesco solo a chiedergli perdono.
Perdono di che?
Di essere stata per troppo poco tempo bambina, di aver dovuto assaporare quello schifosissimo boccone che è la paura e la vita.
Gli occhi rossi. Ajira, la bambina che non sa piangere, si allontana, Quanti inferni sulle gambe di bambini che incontro ovunque.
Chi potrà mai risarcire questi bimbi, chi potrà mai ridar loro ciò che gli è stato cosi brutalemnte sottratto?
Quali parole potranno mai raccontare loro il danno subito, alleviare il bruciore di quella enorme ferita stampata nel cuore?
Da parte mia continuerà a lottare, pregare, bussare ovunque supplicare i grandi, strappargli con dolcezza e serenità un piccolo aiuto; perchè la mia forza, la mia volontà e la volontà di tutte le persone che mi conoscono possa trasformarsi in un abbraccio caldo e familiare per tutti questi bambini.
Per loro, una famiglia, un’amico, una vita, un futuro, un sorriso.
Amiamo i nostri cari, proteggiamo i nostri piccoli, La responsabilità di essere grandi. La consapevolezza di essere ancora bambini.
* promotore di ARTS X WORLD ONLUS, associazione umanitaria e socio-culturale, non lucrativa di utilità sociale.
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