di Maurizio Cerino
23 settembre 1985. 23 settembre 2010. Un quarto di secolo, 25 anni. Eppure mi sembra ieri … quando irruppe in redazione la telefonata del collega Enzo La Penna (allora cronista di fine scrittura del quotidiano Napolinotte), di turno in sala cronisti della questura. C’è stato un omicidio al Vomero, hanno ucciso un giornalista. Non si sapeva ancora il nome, perché… (lasciamo perdere i particolari cruenti). Poco dopo altra telefonata: era il capo turno del 113. Mi chiese se conoscevo un giornalista di nome “Siano”. Risposi che era uno dei fotoreporter del Mattino. Volle anche sapere se era giovane. Risposi di no, era abbastanza adulto, nel senso che aveva abbondantemente superato i 45 anni (non conoscendo l’età dell’indimenticabile Marittiello). Invece l’ispettore precisò che si riferiva a un giovane al di sotto della trentina. E subito gli precisai che si stava riferendo a Siani e non Siano, Giancarlo Siani, cronista del Mattino. E poi feci mente locale: l’omicidio era al Vomero, Giancarlo abitava al Vomero. La pallavolo ci aveva fatti incontrare, l’inizio dell’attività giornalistica ci aveva resi amici e “concorrenti” professionali. E quando dalla redazione distaccata del Mattino, a Castellammare, giunse in quella centrale, a Napoli, ci s’incontrava molto spesso.
Era un lunedì, quel 23 settembre, e faceva caldo, molto caldo. E fummo spediti dal nostro capo in piazza Leonardo. Da quel momento siamo stati testimoni, e cronisti, di scempi investigativi, di passerelle di testimoni che, se avessero taciuto, avrebbero reso alla giustizia un grosso favore. «Aveva paura», «Aveva ricevuto minacce», «Era stato pedinato». Nulla di tutto ciò, come si può leggere nelle dichiarazioni dei familiari. Turbato, questo sì, ma perché non si vedeva la strada del passaggio a “praticante”, quindi dell’assunzione (allora a tempo indeterminato) e quindi la stabilizzazione. Dopo 18 anni, e grazie alla tenacia e dedizione all’inchiesta dell’allora pm antimafia Armando D’Alterio, forte della collaborazione 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno dell’ispettore Giuseppe Auricchio del commissariato di Torre Annunziata e con i dirigenti dell’epoca, Alfonso Larotornda e Raffaele Iezza, si è giunti all’individuazione di movente, mandanti e killer di Giancarlo. E la Cassazione vi ha apposto il proprio sigillo.
Furono tre le inchieste. La prima portò in carcere un camorrista che con il delitto non c’entrava, ma era terribilmente somigliante al killer che fu visto da un testimone. La seconda è stata la più terribile: ha inondato di fango tutto e tutti. Per fortuna che nella fase della “formale istruttoria” come si chiamava allora, il giudice istruttore, il compianto Guglielmo Palmeri, provvide a ristabilire la verità dei fatti e a restituire onore e dignità a Giancarlo.
Fiumi di parole sono stati scritti su questa vicenda, e ancora se ne scrivono, anche da chi all’epoca non era ancora nato o aveva ancora i pantaloni corti. Qualche giudice e funzionario di polizia è riuscito a costruire una carriera, crollata poi in maniera misera quando i nodi sono giunti al pettine. Qualcun altro è entrato in politica, ha avuto un po’ di visibilità e poi è stato abbandonato dai suoi elettori. Tutto grazie al caso Siani. E perché non scrivere anche un libro? Con il titolo «L’abusivo» è saltato fuori Antonio Franchini, sedicente amico di Giancarlo. L’unico vero abusivo era lui, l’autore. E poi la cinematografia: due cortometraggi, e due lungometraggi. di questi soltanto Mehari (corto) e Fortapàsc hanno ricevuto dalla famiglia l’autorizzazione. Gli altri no. E il motivo era semplice: ancora una volta la figura di Giancarlo era tratteggiata in maniera fuorviante (per essere eufemistici), per non dire offensiva.Il lungometraggio si chiama «E io ti seguo» firmato dal napoletano Maurizio Fiume. Lo stesso che, nelle immediatezze del delitto girò un cortometraggio che suscitò le ire della famiglia. Ci fu anche un tentativo di commercializzazione nelle scuole.
In questi giorni, con l’avvicinarsi della data del 25.mo anniversario dell’omicidio di Giancarlo, Maurizio Fiume ripropone un’altra operazione commerciale collegandola alla memoria del CRONISTA 26enne ucciso dalla camorra. Che squallore.
Quella sequenza di immagini (chiamarlo film è offensivo per i Film veri) è reputata da chi conosce la vera storia del caso Siani – me in testa, così come da più parti testimoniato e documentato, una vera offesa alla memoria dell’amico e collega UCCISO dalla camorra di Marano con l’appoggio morale di quella oplontina. In questo racconto, dove il cognome Siani non mi pare si oda mai, il signor Fiume e chi per esso l’ha informato e redatto una sceneggiatura approssimativa, sposa una tesi investigativa, quella di una cospirazione interna alla redazione del giornale, mai presa in considerazione dagli inquirenti perché ritenuta “inconsistente per i fini processuali oltreché per quelli morali”. Nelle pagine processuali si parla della solitudine del cronista, che è ben diversa cosa. Ma chi di noi nonj è solo quando è andato alla ricerca della verità? Non sei più solo quando arrivi in redazione e quando il giorno dopo il tuo lavoro è pubblicato: il sostegno giunge dai lettori, quando hai lavorato bene. E per Giancarlo quel riscontro giungeva immancabilmente, anche dai suoi colleghi che, contrariamente alle fantasie inventate per sensazionalismo spicciolo, l’hanno sempre sostenuto in ogni momento della sua breve, ma intensa attività professionale.
Ulteriori accurate indagini (interne alla redazione e delle forze di polizia) hanno accertato che l’unico complotto per uccidere Giancarlo è stato quello della camorra. NESSUN altro, ripeto NESSUNO oltre la camorra ha tramato per la sua morte. Questa sequenza di immagini firmata da Fiume è un’offesa alla memoria di Giancarlo, ai suoi amici e colleghi e anche all’arte cinematografica. La famiglia di Giancarlo Siani ha preso le dovute distanze da questa sequenza d’immagini e dal cortometraggio che uscì poco dopo il delitto (anche quello firmato dal signor Fiume, anche quello menzognero).Già durante i terribili anni di un’indagine più volte depistata, vari sono stati i tentativi di infangare la memoria e la figura di una persona perbene, alla quale un manipolo di criminali ha portato via per sempre i sogni, uccidendolo sei giorni dopo il suo 26.mo compleanno. Ancor oggi, dopo tre processi, una sentenza definitiva e otto condanne all’ergastolo, si deve assistere all’ennesimo tentativo di riproporre una “cosa” che offende e vilipendia Giancarlo, cronista onesto e vittima di mafia.
Facebook è inondato da inviti alla presentazione del DVD di questa sequenza di immagini. Molti, inconsapevoli del retroscena, condividono, confermando la propria partecipazione all’evento. Non vi fate complici inconsapevoli di siffatte nefandezze.
ps 1.: mi ero ripromesso di non scrivere nulla, ma quell’invito che mi è giunto da più parti mi ha tirato per la giacca.
ps 2.: Chiedo cortesemente al signor Roberto Saviano di non esprimere affrettati giudizi su questa vicenda. Egli ha detto: «E io ti seguo è un film con il prezioso merito di ricostruire in modo significativo la vicenda di Giancarlo Siani, il suo percorso umano e la sua professione innescata dalla passione del vero.».
Essendo nato il 22 settembre 1979, il signor Saviano, nel giorno del delitto Siani, aveva 6 anni e 1 giorno: non può conoscere il percorso umano di Giancarlo, almeno non come quanti l’hanno potuto apprezzare in vita. Senza per questo voler negare a chicchessia, e al signor Saviano in primis, il diritto di espressione del proprio pensiero. Grazie
(tratto dalla pagina Facebook di Maurizio Cerino)
Non è la prima volta che Maurizio Cerino, un giornalista del Mattino, offende il mio lavoro e quello dei tanti che hanno collaborato alla realizzazione del film “E io ti seguo” , ora diffuso nelle librerie e videoteche in una edizione dvd.
Ho deciso da tempo di non replicare alle offese ma, in questo caso, mi sembra doveroso fornire qui alcune informazioni precise a chi non conosce nel dettaglio la vicenda.
Accusare un film a bassissimo budget, indipendente, autoprodotto e senza finanziamenti pubblici e televisivi, di essere un ’”operazione commerciale” è francamente ridicolo.
Ancor più se quest’accusa proviene da un collaboratore alla sceneggiatura del film “Fortapasc” – che com’è noto anch’esso racconta la vicenda Siani – costato tre milioni e mezzo di euro grazie a un finanziamento pubblico del Ministero per i beni e le attività culturali, alla coproduzione di Rai Cinema e Regione Campania, e diffuso, esso sì, in ambito commerciale. Legittimamente.
D’altra parte basta vedere “E io ti seguo” per comprendere come io e i miei collaboratori abbiamo puntato a raccontare la vicenda senza aggiustamenti, ammiccamenti, concessioni al gusto televisivo e fare dell’indipendenza il marchio di qualità del lavoro dedicato a Giancarlo Siani. Voglio inoltre ricordare i molti ostacoli che ne hanno impedito finora la circolazione, soprattutto a Napoli, tra cui la “censura” del Comitato di redazione del Mattino (2004) e della consulta sindacale dei giornalisti della Campania con i vertici dell’Associazione napoletana della stampa che si espressero senza neppure aver visto il film.
In merito al cortometraggio “In nome di Giancarlo” (da me realizzato nel 1991, grazie al Premio Filmmaker, inserito nell’edizione dvd di “E io ti seguo”), ricordo la proiezione all’Alcyone a Napoli per le scuole, organizzata dalla redazione napoletana di Repubblica, in cui intervennero Amato Lamberti e Paolo Siani. Successivamente qualcuno fece copie non autorizzate del corto da un master che avevo messo a disposizione per la proiezione durante l’iniziativa. All’epoca mi vivevo a Roma ma appena ebbi notizia dell’episodio intervenni recuperando il master.
Per quanto riguarda la famiglia Siani non mi risulta che abbia mai preso le distanze dal mio film e, sinceramente, non riuscirei a vederne motivo. Mi risulta invece un atto di cessione a Gianfranco De Rosa (produttore esecutivo di “Fortapasc”) per l’uso in esclusiva del nome di Giancarlo Siani. E ho perciò pensato che questa collaborazione “esclusiva” labbia portato la famiglia a non entrare in relazione con la produzione del mio film. Non a caso in “E io ti seguo” il nome di Siani non viene mai pronunciato e il film è dedicato al cronista ucciso dalla camorra.
Quanto al contenuto del film mi sono attenuto ai fatti e i fatti sono le indagini svolte dal pubblico ministero Armando D’Alterio e dal capo della squadra mobile della questura di Napoli Bruno Rinaldi che hanno portato alla sentenza definitiva di condanna all’ergastolo di killer e mandanti.
Sul ruolo svolto da alcuni giornalisti (tra cui Cerino) basta leggere l’interrogazione parlamentare del deputato Mara Malavenda al ministro dell’Interno che nella seduta della camera del 29 ottobre 1999 in venti punti riprende in maniera testuale le conclusioni della relazione di polizia giudiziaria sulle indagini del caso Siani (8 dicembre 1993 e 11 agosto 1995) stilata da Bruno Rinaldi (Atti Parlamentari 4-26560).