Tempo di mondiali, tempio di curiosità, ma nessuno avrebbe mai immaginato che Heidegger potesse essere un’ottima ala sinistra, Derrida un buon centravanti, e un antesignano di Buffon un Camus che giocava in porta (come Giovanni Paolo II) e che noi conoscevamo solo per «La peste». la scusa sono i mondiali, ma l’occasiojne serve a capire che un numero non piccolo di filosofi ha utilizzato il calcio per fare filosofia: Sarte, infatti, amava dire che il calcio è una metafora della vita, Wittgenstein giunse alla svolta del suo pensiero guardando una partita di calcio, Marleau-Ponty spiegava la fenomenologia parlando di calcio. E Giancristiano Desiderio fornisce anche una spiegazione nel suo ultimo lavoro (Il divino pallone. Filosofia dei piedi da Platone a Totti, Vallecchi, 15 euro)che sarà nelle librerie a partire dal 9 giugno proprio in concomitanza con l’inizio dei campionati mondiali in Sud Africa (inizio l’11 alle 16). Dunque perchè il pallone e la filosofia?
IL CONTROLLO DELLA PALLA – Il calcio si basa su un principio: il controllo di palla. Ma il principio non può essere finalizzato a se stesso, altrimenti non si gioca. Per giocare bisogna necessariamente abbandonare la palla e metterla in gioco. Controllo e abbandono sono i due principi del calcio e della vita. La filosofia, come gioco della vita, si basa su regole calcistiche: per filosofare bisogna saper mettere la vita in gioco. E’ per questo motivo che in «Il divino Pallone» Desiderio spiega l’Idea di Platone con Pelé, la contraddizione del non-essere con Garrincha, la virtù e la bellezza con Platinì, ma anche l’inverso: il genio di Maradona con la «logica poetica» di Vico, la visione di gioco di Falcao con il mito della Caverna, il cucchiaio di Totti con la metafisica di Aristotele. E tanto altro ancora. Il calcio, infatti, non è solo una metafora, ma un paradigma cognitivo che con la sua connaturata idea di pluralità dà scacco matto al fenomeno politico più drammatico della Modernità: il totalitarismo. Hitler e Stalin preteso di controllare tutto e ci riuscirono. Pretesero di controllare anche il pallone. E persero.
LE FORMAZIONI- Nel suo lavoro Giancristiano Desiderio ha messo in campo due squadre di filosofi. La prima l’ha messa su con Amerigo Ciervo, un suo amico docente di filosofia. In porta Hegel, difensori Hobbes, Bruno, Bacone, Tommaso; centrocampisti: Agostino, Kant, Aristotele, Nietzsche, punte Platone e Heidegger. Primo allenatore Cartesio, secondo allenatore Vico. la seconda vede in porta Plotino, difensori: Zenone, Galilei, Talete, Democrito: centrocampisti Socrate, Pascal Okham, Protagora. Punte Anassagora ed Eraclito. Allenatore di questa seconda formazione non può che essere Parmenide il suo vice Popper. Del perchè si siano immaginate queste due formazioni lo spiega Desiderio fornendo le schede.
ARISTOTELE, LA MENTE PENSANTE – «Aristotele è la mente pensante della squadra – scrive desiderio che aggiunge – cresciuto calcisticamente nello Stagira, esplode ad Atene, militando nell’Accademia. Dotato di uno straordinario senso logico, il suo insieme perfetto perfetto di geometrie efficacissime, uniche, diremmo: essenziali. Gioca a fianco del suo maestro a cui copre le spalle nei momenti quando la pressione degli avversari si fa particolarmente sentire. Al culmine della carriera se ne va ad insegnare in macedinia, chiamato da Filippo che punta le sue chances sul suo unico figlio, Alessandro magno, peraltro molto dotato». E gli altri? Platone è giudicato il più grande del mondo, ma bisogna leggere il libro per sapere il resto, magari fra un incontro dei mondiali e l’altro.
Vito Faenza
FONTE: CORRIERE DEL MEZZOGIORNO