di Giancristiano Desiderio
Il Pdl non funziona. La prova? Ce ne sono almeno due. La prima l’ha fornita qualche settimana fa il Fondatore presentando “i promotori della libertà” di Michela Brambilla (nome, in verità, assai infelice, suona un po’ come “i promotori finanziari”). La seconda prova la fornisce il co-fondatore che è il vero ispiratore di Generazione Italia. Ha un modello estero di riferimento in Génération France di Jean François Copé, ma il suo scopo è tutto interno: dare sostegno alla leadership di Fini per l’evento più atteso della politica italiana ossia il dopo-Berlusconi. Una volta iniziative di questo tipo avrebbero avuto dei nomi politici e partitici noti: si sarebbero chiamate “correnti”. Siccome, però, per avere delle correnti bisogno anche avere un partito, e siccome – come è noto – il Pdl non è un partito ma una scatola vuota, ecco che non si parla di correnti ma di promotori, generazioni, fondazioni, siti, predellini. La seconda prova è più importante della prima. Testimonia che Fini non se ne sta con le mani in mano – come in realtà sembrerebbe – e ad ogni mossa del presidente del Consiglio risponde con una sua mossa. Se i Promotori prefigurano l’idea di un nuovo partito berlusconiano, la Generazione prefigura la rinascita di An sia pure arricchita da nuovi metodi ed esperienze che, a conti fatti, hanno più di qualcosa di berlusconiano. E’ come se il co-fondatore avesse imparato ad imitare il fondatore. Ad ogni buon conto, sotto la sigla Pdl ci sono ancora i due corpi di Forza Italia ed Alleanza nazionale, mentre all’orizzonte, dopo il voto regionale o un giorno imprevisto della storia futura dei prossimi tre anni di governo, c’è lo scontro finale.
E’ evidente a tutti che Berlusconi e Fini hanno in testa idee diverse sul partito che non c’è. Quello che dovrebbe essere il maggior partito italiano e che dovrebbe agitare e formare la cultura moderata della politica di casa nostra è nella pratica delle cose un partito senza dibattito e democrazia interna. Viene in mente il titolo del libro di Francesco Rutelli pensato per il Pd: lettera a un partito mai nato. Va benissimo anche per il Pdl. In Generazione Italia non c’è un partito in nuce, né l’idea di un partito futuro, ma è senz’altro la mossa di un Gianfranco Fini che si prepara a superare la fase improduttiva e sterile del Pdl. C’è solo un piccolo problema (si fa per dire): il governo. Quanto tempo potrà ancora durare un esecutivo che si regge su un partito che tende alla divisione piuttosto che all’unione? Quanto tempo potrà durare un governo che si regge su un altro partito – il vero partito di governo – che si candida a essere il primo concorrente di ciò che ne sarà del Pdl? Già dopo il voto regionale queste domande avranno le prime provvisorie risposte.
Anche il Pd non funziona. Con un’aggravante: la passività. Pier Luigi Bersani è un enigma. Alla vigilia della sua ascesa alla guida dei democratici ci si attendeva una svolta riformista, ma allo stato delle cose non solo la svolta non c’è stata, sembra impossibile. Se, infatti, la mossa di Fini permette di contemplare un diverso gioco dell’attuale bloccato sistema bipolare, l’enigma Bersani non consente di ripensare il centrosinistra se non sotto la solita idea dell’eterno ritorno dell’uguale: l’Ulivo. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: la piazza, Di Pietro, i vendoliani. Il Pd cammina sugli stessi sentieri interrotti di ieri come se questi sentieri non lo avessero già condotto più di una volta nel baratro. Il dipietrismo lasciato a se stesso porta dritto allo scontro con il Quirinale: il Pd si ritrae inorridito, ma non fa realmente nulla per evitare lo scontro e nei fatti subisce l’iniziativa dell’ex pm della Procura di Milano. Si aggiunga l’elemento più importante: l’antiberlusconismo e l’eterno girotondismo rimarranno senza acqua quando si avvierà la stagione post-berlusconiana. Il Pd si allontana dall’area moderata proprio quando dovrebbe approdarvi con convinzione. Un enigma, appunto.
Ultima annotazione: non c’è bisogno di essere nostalgici della Prima repubblica per rendersi conto che il bipolarismo della generazione berlusconiana è entrato nell’ultima fase della sua storia ventennale.
FONTE: LIBERAL