di Peppe Porcaro
Al navigatore che si avventurasse sul sito web del Comune di Benevento non sfuggirà certo che tra un certificato di esistenza in vita che è possibile richiedere in luogo di un, certo più infausto, certificato di esistenza in morte l’Ente di palazzo Mosti non si nega affatto. Chiedi e ti sarà risposto, il motto del sito. O quasi. Di certo il Comune non si nega nell’offrire al cittadino esperto navigatore la sua bella identità di sannita. Lo fa attraverso un percorso che tra streghe e santi, tra briganti e teatranti, passando finanche per l’apologetica figura di Giovanni Paolo II (che certo sannita non era, ma tant’é), trova il suo acme, udite udite, proprio nell’Inno della città. Non lo sapevate? Avete letto bene dunque: Benevento ha il suo Inno, per quanto lo stesso sia ignoto ai più. Un inno che fa però la sua bella figura, in alto a destra (dov’altro?), e che ricorda a noi tutti i fasti di questa città, della sua gente, della sua storia, del suo paesaggio. Certo non sarà un Inno combattivo al pari di Flower of Scotland, non vuole essere pretenzioso come God Save the Queen e neppure sontuoso come quello francese. Ma dobbiamo accontentarci: tocca, in questi come in altri casi, essere di bocca buona. Del resto siamo una piccola marca, mica che. Comunque nel nostro piccolo abbiamo fatto le cose in grande, diciamocelo. E allora ci vuole un Inno, a ricordarci chi siamo. Un inno che abbia in se tutto, e anche di più. Perché noi valiamo… E inno sia, dunque. La mente che l’ha partorito non ha dimenticato nulla: il compitino, tocca dirlo, è stato svolto bene. Forse il tutto potrà sembrare oltremodo stucchevole, tant’è: l’Inno è lì da un lustro a fare bella, per quanto solitaria, mostra di se. Chi dobbiamo ringraziare, vi chiederete? Domanda interessante: la Giunta comunale, forse. O questa dell’identità è materia da Consiglio comunale? O, più semplicemente, il tutto è frutto dell’estenuante lavoro di una commissione ad hoc? Ah, saperlo. Perché per quanto sembri strano non v’è un atto che sia uno, una decisione qualunque che sembri rimandare all’adozione dell’Inno. E se c’è è davvero ben nascosto, perché non siamo stati così bravi da scovarlo. E altri con noi… Di certo però l’Inno della città di Benevento (autori Berlincioni-Moretti su musiche di Alterisio Paoletti) è frutto della tenacia dell’allora (anno domini 2006, amministrazione D’Alessandro) Presidente del consiglio Comunale, Alessandro Consales, che volle, davvero fortissimamente volle, questa Ode alla città. E tanto strombazzò il buon Consales che infine…cantò. In splendida solitudine, senza il coro della Giunta o Consiglio che fosse. E la città? Muta, pensando all’ultima ora….
E ora che si fa? Andiamo tutti i giorni, all’alba, sotto casa di Consales a intonare l’Inno con seguito di nipoti e figli, e bandiere, e grancasse? Possiamo far finta di niente, oppure apriamo (con nostro colpevole ritardo) un dibattito sull’appartenenza, sulla sanniticità vera o presunta. O, in omaggio ai tempi, inviamo l’inno a Morgan per un giudizio critico? Si fa un Festival degli Inni, invitiamo gli scozzesi in cornamusa e il principe Filiberto con Pupo? Che fare, si diceva un tempo. Prendiamo atto dell’assenza di un qualsivoglia pronunciamento del Consiglio Comunale e affermiamo che quello sul sito non è, dunque, l’Inno della città di Benevento ma “solo” una proposta di? E che, dunque, in quanto semplice proposta concorra essa stessa, con pari dignità insieme ad altre, a identificare con le sue note la complessità della nostra identità? Noi, che pure di dubbi quotidianamente ci nutriamo (e misteri in tal senso non ne facciamo) in piena libertà un nostro personale Inno lo abbiamo da tempo adottato. In esso troviamo forza e coraggio, passione e umiltà, poesia e identità. E per tanto, e altro ancora, ci piace offrirlo al navigator errante perché possa, avendone la sensibilità, in cuor suo adottarlo:
Nuje ca nun stammo vicino ‘o mare
L’addore ‘ell’onne ‘o sentimmo ‘a luntano
Simmo ‘e na terra de passaggio
Simmo ‘a fermata mmiezo a nu viaggio
Simmo tesoro senza ricchezza
Preta lucente ca nun s’apprezza
Simmo tiatro de certa storia
Ca ncopp’e libbre nun tene memoria
Nuje ca nun stammo vicino ‘o mare
Tenimm’ a mmente ‘o giallo d’o grano
Sentimmo l’addore ca saglie d”a terra
Quann’o paesaggio scumpare int”a neglia
Purtammo in dote ricuordi e turmienti
‘E gente ca n’ha tenuto mai niente
E dint’all’uocchie tenimmo ‘e culuri
‘E chi a ‘sta terra hanno fatto ‘e signuri
Nuje simmo gente nu poco confusa
Co’ ‘e spalle forti e ‘o futuro annascuso
Simmo ‘e na terra che sta mmiez”e terre
E chi ce sape è pe’ via de na guerra
Simmo parienti de santi e janare
‘mpastati ‘a sempe c”o bene e c”o male
Simmo animali ca pontano a luce
Ma senza scelle a vulà nun ce pienzi cchiù
Nuje ca nun stammo vicino ‘o mare
Tenimmo ‘a terra int’all’ogne d”e mani
Tenimmo ‘o passo nu poco pesante
C’arricurdammo ‘e chi è stato brigante
‘A storia nosta sta scritta int”e prete
E tutte ‘e vote vutannoce arreta
Sentimmo che dura ancora ‘o cammino
E chesta via a quacche parte ce purtarrà
“Nuje ca nun stammo vicino ‘o mare” è opera è del maestro Ciro Schettino che suona e canta con i Sancto Ianne. Siamo convinti, però, che un’opera dopo il parto smetta di essere proprietà dell’autore per diventare patrimonio di una più estesa comunità, che nell’opera stessa si vede rappresentata, o ne trae sentimenti. Ringrazio Ciro, dunque perché da tempo questo brano è diventato mio. Posso però condividerlo con altri, ho piacere di, perché la condivisione non sottrae, aggiunge. Sempre.
– Per ascoltare il brano vista la pagina dei SANCTO IANNE su Myspace: http://it.myspace.com/sanctoiannebn