di Giancristiano Desiderio
Il Pdl è orfano di Nicola Cosentino e il Pd è orfano di Antonio Bassolino. Almeno così pare e si racconta. O, se proprio non sono orfani, sono un po’ azzoppati: Nicola – come lo chiamano con affetto gli amici-nemici del Pdl – si è dimesso da sottosegretario e da coordinatore regionale del partito che in Campania ha contribuito in modo determinante a far uscire da una condizione di minorità, ma ha anche subito precisato che i suoi uomini restano nelle liste e lui non presenterà “liste ostili al mio partito”. Ma il malcontento resta, eccome. Dall’altra parte, dopo anni di reciproche critiche, e dopo che Enzo De Luca ha inaugurato la campagna elettorale all’insegna dell’antibassolinismo più dell’antiberlusconismo, ecco che c’è stato un incontro a Palazzo Santa Lucia tra Antonio ed Enzo – il governatore e lo sceriffo – perché il sindaco di Salerno ha capito perfettamente che farà il pieno di voti a Salerno, ma senza Bassolino e il suo potere a Napoli rischia di farsi il bagno nel golfo. E’ una situazione un po’ strana quella che va in scena in Campania: i due uomini più importanti dei due partiti più importanti non solo non fanno parte della partita, ma sono anche gli uomini che i loro stessi partiti hanno messo in fuorigioco. Eppure, non ne possono – per ora – fare a meno.
A Napoli si gioca il “tre sette a perdere”. Si gioca con le carte napoletane e il fine del gioco non è vincere, bensì perdere. In sostanza, vince chi perde. Sembra che la stessa cosa stia accadendo anche nel Pdl e nel Pd. Nel partito di Bassolino da molto tempo Bassolino è diventato ingombrante, troppo ingombrante. Da tempo si canta il ritornello della “discontinuità” e della “svolta”. Enzo De Luca si è presentato come un uomo nuovo e, soprattutto, come “l’uomo della svolta”. “Con me” – ha detto più volte e ripete a ogni piè sospinto – “si volta pagina”. Ma la pagina che si deve girare è, appunto, la brutta pagina del potere bassoliniano. Si dà il caso, però, che questo potere sia ancora ben saldo sulla poltrona e i bassoliniani sono bene radicati a Napoli e nel suo immenso hinterland. E’ qui che si decidono i giochi delle elezioni. Si potrà fare a meno di Bassolino dopo il voto, ma come si può fare a meno dei voti bassoliniani prima del voto? Questa è la contraddizione del Pd, ecco perché De Luca è costretto, in cuor suo, a dire a Bassolino come Catullo con Lesbia: “Odi et amo”.
Potrà apparire strano, ma anche nel partito di Cosentino da un po’ di tempo Cosentino è diventato ingombrante. Non è solo una storia campana e non c’entrano solo Mara Carfagna e Italo Bocchino che aspirano a prendere il posto di Nicola al vertice del Pdl in Campania. E’ una questione più grossa che arriva direttamente al vertice nazionale del partito di Silvio Berlusconi. Denis Verdini ha messo su – per usare le sue stesse parole – un sistema di potere che, in fondo in fondo, rappresenta nel partito di Berlusconi la prima vera corrente. La corrente di Verdini è percepita come una sorta di correntone doroteo. La cosa è stata tollerata per un po’ di tempo dallo stesso Berlusconi, eppure dopo l’esplosione dell’inchiesta della procura di Firenze e dopo il coinvolgimento di Verdini, ecco che Berlusconi ha colto al volo la prima occasione per rimettere ordine del partito. Guarda caso, anche Cosentino fa parte della corrente verdiniana e il sistema di consenso e di partito che è riuscito a mettere su in questi anni in Campania tra Napoli e Caserta – quell’enorme hinterland di cui si è fatto cenno sopra – ha sì giovato al Pdl, ma era ormai diventato quasi un elemento di disturbo nell’esercizio della leadership di Berlusconi. La riprova ce la dà Stefano Caldoro, ossia il governatore in pectore della Campania.
Governatore sì, ma con l’alleanza con l’Udc, senza la quale il Pdl in tasca non ha la vittoria ma la sconfitta. Caldoro è stato scelto e voluto proprio da Cosentino quando Nicola da “candidato naturale” che era per Palazzo Santa Lucia è diventato “candidato innaturale”. A quel punto è iniziata una guerra guerreggiata per trovare il candidato da candidare al posto del “candidato innaturale”, ma una guerra che in realtà proprio Cosentino ha vinto in partenza. Ma – ecco il punto – ha vinto anche contro il volere dello stesso Berlusconi: sì, perché non sono prevalse le ragioni del presidente del Consiglio, il quale avrebbe voluto candidare un uomo estraneo allo stesso Pdl, ossia l’industriale Gianni Lettieri, sono prevalse invece le “ragioni del territorio”: questa è la definizione che Cosentino e i suoi uomini hanno dato al consenso che hanno costruito in questi anni dopo aver fatto le scarpe ai fratelli Martusciello. Anche nella vicenda della provincia di Caserta, dove sarà candidato Domenico Zinzi per stessa decisione di Berlusconi e Casini, il correntone verdianiano-cosentiniano che Berlusconi mal digeriva ha detto che Silvio doveva avere “capacità di ascolto”. Alla fine Silvio ha ascoltato Caserta ma anche Firenze e ha deciso. A questo punto Cosentino – Nicola – si è dimesso. E qui inizia la storia che già conoscete.
– tratto da Liberal