di Alessio Masone
Avevo scritto con cuore aperto e trasparente, partendo dal particolare (Parliamone) per parlare del generale (l’associazionismo).
Avevo approfittato per parlare di cambiamento dal basso che, sebbene di moda, è un concetto conosciuto solo tramite i luoghi comuni. Penso di avere l’esperienza e il diritto di confrontarmi sull’argomento, senza timore di essere accusato di pretenderne l’esclusiva, come temerariamente afferma Jean Pierre el Kozeh.
Avevo scritto sponsorizzando un’osmosi tra l’associazionismo, in generale, e un politico illuminato (Nazzareno Orlando) che, senza alcuni chiarimenti costruttivi, non potrebbe realizzarsi. E invece, per insicurezza, in risposta, ho ricevuto solo vacua ostilità: ai miei meditati contenuti non si è risposto con costruttive riflessioni ma, con elusiva retorica, tramite domande e accuse. Parliamone vuole promuovere il confronto, ma, quando ciò le riguarda da vicino, il confronto non è più bene accetto.
Questa alzata di scudi, da parte di due esponenti culturali di destra che non vivono il territorio, ma la capitale d’Italia, è dannosa per la credibilità di Parliamone, associazione che vuole dichiararsi apolitica e per le attività dal basso. Ancora di più dannosa, quando l’intervento è firmato da chi, negli anni dell’assessorato di Orlando, gestiva buona parte delle attività culturali promosse dal Comune di Benevento: con fare controproducente, ha riacceso gli animi e le lamentele di tutti quegli artisti e di quei musicisti che non erano graditi da El Kozeh.
El Kozeh, lamentando che le associazioni, nelle loro censure, non sono entrate nel merito delle attività organizzate da Parliamone, non ha considerato che, per tatto e per rispetto della biodiversità delle proposte, noi non abbiamo voluto giudicare le singole attività, ma solo l’impostazione. Comunque, se sollecitati a esprimerci, dobbiamo dire che le attività di Parliamone, almeno quelle che conosciamo, sono generiche adesioni a iniziative promosse da altri, a livello mondiale (La giornata della lentezza, 100 piazze per il clima), oppure generiche attività per rilevare i disagi della popolazione locale, senza utilizzare una specifica visione per decodificare la società in cambiamento (piattaforma logica). Preferendo i processi culturali orizzontali, diffido delle iniziative che, calate identicamente su tutto il pianeta, sono incentivatrici, al di là dell’obiettivo, di un paradigma omologante e spersonalizzante.
Le attività della Rete Arcobaleno, che non è riduttivamente una rete ecologista, ma una rete per un’economia ecosolidale (quindi, per un approccio integrato), sono tutte nate sul territorio, senza condizionamenti diretti di realtà esterne al territorio. Una coraggiosa scommessa, visto il rischio di isolarsi in un panorama culturale ristretto. Ma la scommessa di valorizzare idee espressive delle identità territoriali, per ora, si è dimostrata un’intuizione fertile: a tre anni dalla costituzione, le attività della Rete Arcobaleno sono state oggetto dell’indagine di due tesi di laurea. Difficilmente, l’appello, a esporre fazzoletti azzurri alle finestre per contrastare i cambiamenti climatici, sarà oggetto di una tesi di laurea, almeno fino a quando Orlando non sarà docente universitario.
Per il resto del suo intervento, El Kozeh ha parlato fumosamente senza entrare mai nel merito dei contenuti delle mie articolate affermazioni (https://www.sanniopress.it/?p=3792). Unico suo contenuto è stato, per evitare di rispondere sul doppio ruolo di Orlando (esponente di un partito verticistico e di un’associazione dal basso), l’accusarmi di vivere anch’io una duplice contaddittoria posizione (“vendere libri di carta che contribuiscono alla distruzione delle foreste ed essere promotore della rete ecologista Arcobaleno”). Questa affermazione, ridicola nei contenuti, meriterebbe una replica solo a una fermata dell’autobus.
El Kozeh e Desiderio hanno usato, forse, in mancanza di contenuti incisivi, un linguaggio retorico per persuaderci, almeno, con la forma. Ai miei interlocutori devo dare un’altra brutta notizia: il cambiamento dal basso è un approccio che pervade anche il modo di fare cultura, facendosi portatore di processi culturali orizzontali che si contrappongono al verticismo sociale. Anche nello scrivere, la sfida è utilizzare un linguaggio comune per ottenere bellezza, perché questa è insita nell’energia generata nel perseguire giustizia e cambiamento. I nostri tempi, se vogliamo dare risposte concrete a una società in cambiamento, hanno bisogno di una dialettica che utilizzi un linguaggio franco, esperienziale e finalizzato ai contenuti. Anche per questo, sono cofondatore di Art’Empori (La comunità dell’arte biodiversa, indipendente e orizzontale – www.artempori.wordpress.com).
Il cambiamento dal basso avviene attraverso una coesione sociale e una condivisione del territorio. Il linguaggio, quello più appropriato a ciò, deve recuperare la sua funzione originaria di contaminazione che trasforma tutte le parti coinvolte nel dibattito. Le parti, accomunate dal confronto, mettono in rete orizzontale le loro idee che sono, di fatto, emozioni che creano, appunto, coesione sociale. Parlare, funzionalizzando le energie al miglioramento del territorio, in quanto bene comune, ci consente una condivisione e un superamento dell’incomunicabilità.
Al contrario, quando si parla per difendere solo le proprie posizioni, si pone tra gli interlocutori una barriera fatta di un linguaggio retorico che, per quanto ben costruito, non possiede l’emozione e, quindi, la bellezza del bene comune.
Non basta che Orlando voglia incontrare la popolazione, se vuole agevolare un cambiamento dal basso: in questo caso, infatti, le affinità territoriali devono prevalere su quelle verticistiche. In pratica, nel proprio sentire, la condivisione del territorio, che lega Orlando a me, beneventano, diventa prioritaria su altre condivisioni che legano Orlando a El Kozeh o a Fini o al suo musicista preferito. Quindi, se Orlando è in buona fede, quando va nei rioni a conoscere le esigenze della popolazione, si apra, coerentemente, anche a tutti gli attori del territorio (comitati e associazioni) che vanno nella stessa direzione (al riguardo, segnalo il mio articolo “Il verticismo delle emozioni è contro il benessere del territorio”, apparso su Bmagzine di novembre e consultabile anche su http://artempori.wordpress.com/2009/11/23/il-verticismo-delle-emozioni-e-contro-il-benessere-del-territorio/ ).
L’espressione “cambiamento dal basso” porta alla mente quei dilettanti che vanno allo sbaraglio nell’agone sociale: invece, leggendo Desiderio ed El Kozeh, i dilettanti allo sbaraglio, sull’argomento “cambiamento dal basso”, risultano essere proprio quegli illustri nomi del mondo culturale.
Nel tentare un mio stile propositivo, approfitto di questa querelle per far conoscere quel cambiamento dal basso che, a quanto pare, è ancora tanto sottovalutato, da non essere oggetto di approfondimento da parte di chi, godendo di una posizione di rendita nel mondo culturale, si avventura a trattarne.
Desiderio ha collegato il manicheismo al cambiamento dal basso che, sempre solo secondo lui, sarebbe fautore di una visione che divide il mondo in buoni e in cattivi. Non riesco a immaginere da dove lui abbia attinto questo concetto.
Dividere il mondo in categorie è l’antitesi del cambiamento dal basso. L’approccio dal basso è caratterizzato dal non delegare, ad altri soggetti (politici e grandi aziende) e alle categorie, la visione del mondo: ogni cittadino è un consumatore che, con le sue scelte quotidiane, può decidere/agire a favore o a sfavore del mondo o di alcune parti di esso. Il consumatore critico è consapevole di essere attore, in varie gradazioni, del bene e del male del suo territorio e del pianeta: le sue azioni, avulse dalle categorie bene/male e destra/sinistra, sono capaci di miglior risultato, se realizzate, faticosamente, in prima persona e non delegate comodamente al sistema verticistico dei mass media, della politica e della grande economia.
Vi sottopongo, di seguito, una brano del mio articolo “L’era di FB per delegare anche la comunicazione” che esce, in questi giorni, su Bmagazine di dicembre.
[…] Ma solo lo scegliere trasforma il mondo.
Leggendo o ascoltando, alla TV, Saviano, ci emozioniamo, urliamo dentro di noi, ma, poi, nella nostra vita, quella che facciamo con le azioni, non quella che ascoltiamo o leggiamo, siamo rimasti uguali. A cosa serve che ci sia un solo Saviano che agisce, quando parla, se noi, compatti, restiamo, di fatto, immobili negli stili di vita? Abbiamo lasciato da solo Saviano e, se un giorno lo assassineranno, noi, sebbene complici, grideremo allo scandalo. Ma Saviano non corre questo rischio: i suoi nemici sanno bene che il suo parlare, in fin dei conti, non trasforma il mondo. Tutto resta identico a prima, grazie a noi.
Se vogliamo trasformare il mondo, dobbiamo prenderci la briga di impegnarci in prima persona e con il nostro agire quotidiano, non con una lettura che, risollevando la nostra coscienza, ci dica che i cattivi sono gli altri.
Delegare gli altri è solo un modo, comodo per noi e scomodo per il mondo, di lasciare che nulla cambi. […]
E’ deludente che, quando un colto filosofo manca di contenuti da opporre, si comporti come un personaggio da pub, tentando la derisione del suo antagonista con frasette non suffragate da alcuna motivazione (“Non ho un Suv, ma sto pensando ci comprarmelo”). Per rispetto dei lettori, prego i sostenitori di Parliamone o, comunque, i detrattori della mia visione, che hanno intenzione di replicarmi, di farlo solo, dopo di essersi documentati sul fenomeno del “cambiamento dal basso”, così come io non mi avventuro a discettare, sui giornali, di musica e filosofia costringendo a chi, ne è competente, di dover prendere parola.
A Orlando suggerisco, come atteggiamento più produttivo, di contaminarsi delle istanze della Rete Arcobaleno: si avvalga del fatto che la presidentessa di Parliamone, Tullia Bartolini, sia anche cofondatrice di Art’Empori e componente della comunità di Benevento EcoSolidale. Un valente politico, di destra o di sinistra, deve essere un manager delle risorse del territorio che proficuamente sappia guardare oltre quegli steccati che limitano la crescita e il cambiamento della propria persona e, di conseguenza, del proprio territorio.