(Corriere del Mezzogiorno) -Il suo nome è M’Barka Ben Taleb, ma a Benevento, dove vive da tre anni col figlio Fadhel («il prediletto»), si fa chiamare Sabrina («per semplificarmi la vita», dice). È nata a Tunisi, e in Italia è sbarcata dapprima a Milano, trasferendosi però ben presto a Napoli, città di cui si dice semplicemente «innamorata». «L’Italia mi piace tutta, però arrivare a Napoli e sentirmi veramente come se fossi ancora nel mio paese è stato assolutamente naturale: il mare, la gente, i colori… tutto mi dà un’atmosfera di casa».
Anche la musica aiuta. O no?
«Beh, certamente. La musica napoletana mi suona familiare. Avete strumenti dai suoni simili a quelli di alcuni nostri strumenti tradizionali. E un modo di cantare che assomiglia al nostro. Soprattutto le vecchie canzoni vanno spesso verso il ‘‘quarto tono’’, come le nostre. È come se trovassero una loro via di mezzo tra le note piene, che in Italia sono quelle usuali… ».
Una specie di continuo affidarsi ai diesis e ai bemolle…
«Diciamo così, sì».
Ma perché stiamo parlando di musica? Semplice, perché M’Barka Ben Taleb (sì, insomma, la nostra «Sabrina ») è una cantante e musicista. Ha lavorato con Eugenio Bennato («per me è una specie di figura paterna»), con Pietra Montecorvino, con Enzo Gragnaniello (che per lei ha scritto due canzoni) e con altri, fra i quali Edoardo Bennato. Ora ha da poco inciso, per Bideri, una sua versione di ’O sole mio, in arabo e con un testo rielaborato da lei: «Dite a chi mi ha rubato il cuore|che io lo amo e lui non lo sa|mi ha insegnato le poesie e l’amore dell’amante|dite a chi mi ha rubato il cuore|Oh, amore mio tu non sai|e se sapessi mi strapperesti il cuore…». Ma prima di questa nuova tappa «di avvicinamento» è venuto un album, intitolato Altocalore.
Immagino che questo titolo faccia riferimento al sole, al Mediterraneo, insomma al nostro mondo comune…
«E invece no. È il nome di un acquedotto, quello che ci porta l’acqua qui a Benevento». E perché mai questa scelta? «Perché tutto questo lavoro è nato dopo un mio viaggio in Etiopia, dove ho visto una povertà spaventosa, e soprattutto ho verificato quanto sia drammatico vivere con questa eterna mancanza d’acqua. L’acqua ti nutre, l’acqua fa crescere l’erba e le piante, senza acqua non c’è vita. Questo è il tema del brano che dà il titolo all’album ».
«Sabrina», la figura slanciata e un groviglio leonino di capelli, sul palco canta, suona e danza con grazia, sensualità ed energia, fra tradizione e modernità. Ascoltarla vuol dire capire il fortissimo legame che unisce le diverse culture del Mediterraneo, continuamente contaminate, ibridate, mescolate. Come per esempio succede nella sua versione del classico partenopeo Indifferentemente. «Lì», dice, «abbiamo creato un arrangiamento molto particolare, direi quasi un travestimento. All’inizio la canzone non si riconosce, poi all’inciso ci avviciniamo di più, anche perché l’unica parola che non pronuncio in arabo è per l’appunto ‘‘indifferentemente’’ ».
È un arrangiamento molto arabeggiante, o sbaglio?
«Lo è. Grazie anche alla presenza di due strumenti come l’oud, una specie di mandola ma più grande, e il qanun, che è un tipo di arpa che si suona in orizzontale, poggiandosela sulle gambe, e utilizzando degli anelli metallici alle dita. Nel disco, mi ha fatto l’onore di suonare il qanun Abdullah Chhadeh, che è il più grande virtuoso al mondo di questo strumento ».
È molto interessante questa sua collaborazione con tanti musicisti, italiani e non. Lei ha un suo gruppo di musicisti fissi, oppure cambiano di volta in volta?
«Io faccio molti concerti, per la verità più all’estero che in Italia. Sono stata in Spagna, in Francia, in Belgio, e ho partecipato ai principali festival. Anche in Colorado. Quando andiamo all’estero, mi segue un gruppo di musicisti che hanno la loro base a Londra. Quando invece ci muoviamo in Italia, e lo facciamo soprattutto al Nord, allora il gruppo è tutto di casa: quattro musicisti italiani di Benevento. Recentemente abbiamo suonato parecchio a Torino: al Salone del Libro, per esempio, e poi alla Maison de la Musique. E ancora in tour con Gipo Farassino».
E poi ci sono anche le collaborazioni con i musicisti napoletani.
«Naturalmente. Tutti quelli che ho già nominato, e anche altri. Per esempio Gigi Finizio, che in Altocalore canta con me Zuru Zuru Napoli, ovvero Venite, venite a Napoli: un mio omaggio a questa città che considero il mio primo amore».
Quarto tono
«La musica napoletana mi suona familiare: strumenti dai suoni simili a quelli dei nostri, e un modo di cantare che va spesso verso il ‘‘quarto tono’’»
Francesco Durante