(Sanniopress) – Va bene che ora i no-Tav si sono presi la privativa della comunicazione, e pure a Benevento sono arrivati a manifestare i sodali dei valsusini. Insomma, benissimo discettare dell’alta velocità e delle opere pubbliche, che è una cosa seria, ma certo diventa meno seria quando prospetta modelli di sviluppo versione “ritorno alla terra” e “decrescita felice” senza né capo né coda. Però è vero che a questo mondo ci sta pure qualcosa d’altro. E quelli che gorgheggiano “noi siamo tutti di Val Susa”, forse, qualche lezione la possono trarre.
Qualche giorno fa, il 26 febbraio, gli attivisti di “Veg in Campania” hanno inscenato una protesta silenziosa contro il consumo di pellicce. Una zanzarata per Corso Garibaldi, a Benevento. Come hanno scritto in una nota i protestatari, “la zanzarata è una forma di protesta pacifica, i manifestanti seguono in silenzio, come in processione, tutte le signore vestite di visone o cincillà, esibendo cartelli contro l’uso delle pellicce e creando, così, non pochi momenti di imbarazzo e insofferenza”. L’evento beneventano ha rappresentato la tappa conclusiva di una campagna condotta in tutti i capoluoghi di provincia della regione.
L’episodio è importante in ordine ad almeno tre profili: 1) riporta l’attenzione su un tema significativo come l’uso di animali nell’industria della moda; 2) configura una significativa crescita del movimento animalista anche in Campania; 3) rappresenta una forma di manifestazione pacifica da prendere a riferimento.
In primo luogo, dunque, rimanda alla questione dell”oppressione delle specie animali a fini di abbigliamento. Proprio per questo è rilevante, una rilevanza derivata. Come è stato osservato da Enrico Moriconi, medico veterinario e presidente di ANVA (Associazione veterinari per i diritti animali), “se si esaminano le condizioni di vita degli animali da pelliccia negli allevamenti odierni, non sembra dubbio che essi siano mantenuti in condizioni che configurano un continuo maltrattamento. […] Chiusi in piccole gabbie, di dimensioni insufficienti, costretti su una superficie assolutamente inadatta (una rete che ferisce le zampe), privati di qualsiasi possibilità di interrelazione con i loro simili, alimentati in modo innaturale. […] La vita, pur tuttavia, può continuare perché non dura molto tempo ed è sostenuta da sostanze chimiche; d’altra parte nessuno potrà verificare quello che viene loro somministrato in quanto, non essendo destinati all’alimentazione umana, non vi è ragione di effettuare controlli sull’eventuale somministrazione di prodotti farmacologici. […] I sintomi del malessere sono il rilievo di tutti, o di parte, dei seguenti comportamenti: ripetizioni ossessive di gesti che non hanno finalità; un indulgere ossessivo alla toelettatura del loro corpo; giocare per ora con oggetti diversi; un aumento dell’aggressività o dell’eccitabilità; esercizi motori esasperati e senza finalità alcuna; uno stato di profonda apatia.” [Le fabbriche degli animali]
In secondo luogo, le “zanzarate”, beneventana e campana, attestano un diffuso impegno a tutela dei cosiddetti “diritti animali” in Campania. A questo proposito, l’evento è rilevante, dimostrando la vitalità e lo sviluppo del movimento animalista campano. Come noto, d’altronde, le istanze animaliste sono essenzialmente metropolitane e concentrate da Roma in su.
Infine, la protesta del 26 febbraio configura una forma di manifestazione pacifica e azzeccata nelle sue capacità propagandistiche, e per questo tatticamente interessante. Di più, a fronte di pulsioni violente. Qui vale solo la pena di osservare la discrepanza con la “propaganda con i fatti”, la vecchia prassi anarchica centrata sul “fatto”, il regicidio, la rivolta di miliziani, il sangue, insomma la violenza in funzione di apostolato. I padri dell’anarchia, Malatesta, Kropotkin e compagnia assorbirono presto la lezione: dopo la violenza, se il movimento non è popolare, cioè universale, è pronta a liberarsi la “tigre della reazione”. Senza arrivare a Gandhi, si rilegga Turati: è la non violenza che paga.